di Takashi Miike (Giappone, 2001)
Il 2001 è un anno fortunato per Takashi Miike. Tra i vari film da lui diretti in quel periodo (come al solito tantissimi!), escono “The Happiness Of The Katakuris”, “Agitator”, “Ichi The Killer” e questo bizzarro “Visitor Q”, quattro pellicole di indubbio valore ognuna delle quali diversa per approccio estetico e sviluppo delle vicende.
“Visitor Q” è un’opera progettata per la televisione e girata in digitale senza grandi virtuosismi, un progetto per nulla ambizioso eppure ricco di contenuti geniali e aberranti: a cominciare dalla tematica principale, quella della famiglia disfunzionale, qui messa a soqquadro dall’arrivo di un ospite a sorpresa (il visitatore q), praticamente il ribaltamento del teorema pasoliniano in un’ottica complementare ad esso. Se infatti in “Teorema” (1968) il personaggio estraneo sconvolge l’ordine familiare smascherandone l’ipocrisia, in “Visitor Q” l’uomo che entra a far parte di questo nucleo sovverte ogni gerarchia, imponendo (suo malgrado) un sistema matriarcale che prende il posto di quello precedente, in mano al pater familias e completamente fallimentare. Per comprendere al meglio questo meccanismo, è necessario rivelare qualche particolare della trama.
La famiglia Yamazaki è allo sbando: Kiyoshi è un padre represso e incestuoso (ha un rapporto sessuale con la figlia Miki, una prostituta), sua moglie Keiko invece è costantemente picchiata dal figlio minore Takuya, a sua volta vittima di bullismo a scuola. Nessuno è carnefice in questa gabbia di pervertiti, poiché tutti subiscono qualcosa da qualcuno. Il visitatore si presenta lanciando pietre in testa a Kiyoshi e poi seguendolo fino a casa, un segnale eloquente di un violento scossone all’interno di quella dimora: da quell’istante infatti la madre comincia a ribellarsi e riscopre la propria sessualità (la scena della fuoriuscita del latte dalle mammelle è da guilty pleasure).
Takashi Miike ricostruisce l’armonia perduta attraverso le più infime pratiche sessuali e comportamentali: necrofilia, incesto, stupro, abuso di droga e chi più ne ha più ne metta, un compendio di orrori rappresentati con un gusto macabro e allo stesso tempo grottesco, come nella sequenza cult del rapporto carnale tra Kiyoshi e il cadavere di una giornalista (“sei morta ma sei tutta bagnata! I misteri della vita sono strabilianti! Persino un cadavere può bagnarsi! È fantastico! Fantastico! Hey, questa è merda! Non è un mistero della vita, è merda!”). Questa frase racchiude al meglio la filosofia di un film a suo modo allucinante, una provocazione azzardata che però colpisce il bersaglio in maniera poderosa, perché il delirio di Takashi Miike non è certo fine a se stesso, anzi si muove con intelligenza nei meandri oscuri delle piaghe che affliggono la famiglia tradizionale contemporanea. Una depravazione calcolata quindi, la quale segue un percorso ben preciso prima di riavvolgersi nel guscio primordiale e rassicurante raffigurato dalle immagini conclusive, un rovescio della medaglia che scaccia il marciume che ha corrotto gli Yamazaki. “Visitor Q” è follia pura, una delle vette assolute del cinema di confine giapponese del nuovo millennio, provare per credere.
(Paolo Chemnitz)