Green Room

green roomdi Jeremy Saulnier (Stati Uniti, 2015)

Nel giro di due anni Jeremy Saulnier salta dal blu al verde, semplificando in parte la formula vincente del suo acclamato e inarrivabile “Blue Ruin” (2013). Con “Green Room”, il regista statunitense rimane sempre fedele sia al genere thriller che a queste cartoline provenienti dalla profonda provincia americana, ma è la componente drammatica a venir meno, un ingrediente qui prontamente sostituito con quella furbizia tipica di chi vuole raggiungere un pubblico ancora più ampio (i giovani, soprattutto).
A cosa si riferisce il titolo del film? Nel gergo dello spettacolo, la green room è quella sala in cui gli artisti attendono prima di entrare in scena oppure è quella stanza in cui essi si riposano subito dopo una pausa (o alla fine stessa della performance). Proprio dentro una green room si sviluppa gran parte dell’opera, una pellicola non troppo dissimile da quel cinema d’assedio già visto tante volte sullo schermo. Per capire il motivo di tale situazione, bisogna però tornare all’origine delle vicende, quando una squattrinata punk band a corto di serate accetta di suonare in un locale nei pressi di Portland gestito da un gruppo di suprematisti bianchi, dei tizi con dei modi tutt’altro che amichevoli. I ragazzi del gruppo sono sfacciati, aprono il live con la cover di “Nazi Punks Fuck Off” dei Dead Kennedys beccandosi sputi e insulti da ogni dove, ma i casini seri devono ancora arrivare, poiché a un certo punto i nostri diventano testimoni oculari di un brutale fatto di sangue e qualcuno di certo non li vuole lasciar andar via. Una volta rinchiusi nella green room, seguiamo così un’escalation di violenza in cui l’unico obiettivo per i giovani protagonisti è quello di salvare la pelle.
A differenza del precedente lavoro, la telecamera di Saulnier ha un raggio di azione molto ristretto e l’angusto sviluppo degli eventi non sempre trova una spiegazione plausibile o realistica nelle azioni che coinvolgono i personaggi: tuttavia, “Green Room” scivola via in maniera assolutamente godibile, puntando su altri aspetti non meno importanti, una componente più ironica, scanzonata e disinvolta che ben si sposa con questo scontro senza esclusione di colpi tra nazi e punk. Buono pure lo score musicale, improntato ovviamente su sonorità belle massicce e incazzose (quando parte “War Ensemble” degli Slayer il godimento è assicurato).
Tra gli interpreti (tutti molto convincenti) figura anche Macon Blair, l’attore feticcio di Jeremy Saulnier, qui nel ruolo secondario di Gabe: è innegabile che noi con la testa siamo rimasti fermi a “Blue Ruin”, nonostante questo “Green Room” sia comunque un film di tutto rispetto, un’opera da assaporare con il giusto spirito e senza troppe pretese. Non è facile la vita di un anarchico, neppure in Oregon.

3,5

(Paolo Chemnitz)

green

Lascia un commento