di Kong Su-Chang (Corea del Sud, 2004)
Anche la Corea del Sud partecipò al conflitto del Vietnam, appoggiando con mezzi e uomini lo schieramento statunitense e pagandone le conseguenze con oltre cinquemila perdite. Nel 2004 il regista Kong Su-Chang, già tra gli sceneggiatori del celebre thriller “Tell Me Something” (1999), realizzò questo lavoro abbastanza atipico per il cinema coreano, un film di guerra capace di trasformarsi in un vero e proprio horror sovrannaturale. Con risultati originali, particolari e alquanto interessanti.
Durante un freddo gennaio del 1972, una base militare riceve un inquietante segnale radio da un plotone considerato ormai disperso. Spetta al pluridecorato tenente Choi Tae-In mettere su una squadra di soldati in modo tale da poter recuperare gli eventuali sopravvissuti: c’è tempo una settimana, non di più, ma sia durante il viaggio nella fitta vegetazione che una volta sul posto (chiamato Romeo Point) i protagonisti cominciano a imbattersi in situazioni insolite e pericolose, le quali si materializzano nel più puro degli orrori durante una seconda parte di chiara matrice horror.
In “R-Point” (“Arpointeu”) c’è una Corea che combatte contro i fantasmi del suo passato, un senso di colpa difficile da estirpare che si abbatte impetuoso sollecitando a più riprese la già fragile tenuta nervosa dei militari: in questo caso il regista coreano non ci parla delle allucinanti conseguenze psicologiche del conflitto (pensiamo a “Jacob’s Ladder”) ma ci catapulta direttamente nell’inferno vietnamita, fino a confinarci all’interno di un grande edificio abbandonato circondato da una lunga distesa di erba e sterpaglie. Questo luogo isolato si identifica automaticamente con la dimora maledetta che sprigiona il terrore (“Shining” insegna a tal proposito), un posto dove il Male si manifesta in tutte le sue sfumature portando con sé caos e follia (nel nostro caso anche per mezzo di oscure apparizioni che citano il vicino Giappone e la fertile stagione del J-horror).
Kong Su-Chang gira in Cambogia e la scelta della location si rivela alquanto azzeccata, inoltre la notevole fotografia riesce ad avvalorare ancor di più un film tecnicamente ineccepibile sotto molteplici aspetti. “R-Point” è quindi un’opera che funziona, grazie al suo perfetto equilibrio tra pressione fisica (la guerra, la giungla) e pressione mentale (le derive soprannaturali), il tutto contornato da atmosfere creepy che ci punzecchiano di continuo alimentando la tensione generale. Si tratta pur sempre di un crossover tra generi, questo è importante ribadirlo, ma fra le tante audaci commistioni tra war movie e cinema della paura “R-Point” è forse tra quelle più cariche di fascino, al di là di un minutaggio eccessivo (quasi due ore) che in parte ne limita il potenziale. Un’esperienza da provare.
(Paolo Chemnitz)