di Dino Risi (Italia/Francia, 1977)
Nel giro di tre anni Dino Risi gira due drammi psicologici ispirati ad altrettanti romanzi di Giovanni Arpino, “Profumo Di Donna” (1974) e “Anima Persa” (1977), quest’ultimo liberamente ambientato a Venezia invece che a Torino. L’umida e decadente cornice della città lagunare si rivela perfetta per le intenzioni del regista milanese (come già era accaduto in precedenza ad altri suoi colleghi, da Lado a Roeg), poiché da queste particolari atmosfere ne esce fuori un gotico italiano intriso di mistero e inquietudine.
Il diciannovenne Tino (Danilo Mattei è all’esordio, lo rivedremo poco tempo dopo in “Cannibal Ferox”) viene ospitato temporaneamente nella grande casa degli zii a Venezia, in modo tale da poter frequentare una scuola d’arte. La zia Elisa (Catherine Deneuve) è completamente sottomessa all’ambiguo marito Fabio (Vittorio Gassman), un uomo colto e raffinato che nasconde al nipote una terribile verità: dalla soffitta di quello stabile provengono infatti degli strani rumori, qualcuno si nasconde là sopra e Tino presto è costretto a confrontarsi con gli oscuri segreti di quella famiglia.
Considerando che Dini Risi è stato uno dei massimi esponenti della commedia italiana, non è difficile immaginare il motivo per cui si parla sempre poco di questa controversa pellicola. Anzi, in verità non se ne parla mai. “Anima Persa” è invece un’opera degna di assoluta attenzione, sia per i suoi ottimi interpreti (incredibile il personaggio di Gassman), sia per la bravura con cui il regista riesce a smarcarsi dai classici stereotipi del periodo. Quello di Risi non è infatti un film di genere tout court ma è un dramma d’autore intriso di follia e morbosità, un prodotto a sé stante all’epoca incapace di ritagliarsi il meritato spazio.
Se “Venezia è una vecchia e prestigiosa signora dall’alito cattivo”, possiamo dire che “Anima Persa” questa sensazione ce la fa davvero toccare con mano attraverso un mood stagnante, torbido, dove la cultura si mescola alla paura. Splendide suggestioni che restano impresse ancor di più della storia stessa, quest’ultima maggiormente sfilacciata e prevedibile nella seconda parte del film. Ma la tensione psicologica è sempre palpabile e le cupe contaminazioni con il thriller e il grottesco funzionano, consegnandoci un prodotto tetro, affascinante e intriso di rimandi letterari. Un soggetto su cui avrebbe potuto benissimo lavorarci Pupi Avati, al di là del valido risultato conseguito da Risi. Riscopritelo se ancora non lo avete fatto.
(Paolo Chemnitz)