Jacob’s Ladder

jacob'sdi Adrian Lyne (Stati Uniti, 1990)

La guerra la puoi raccontare in tanti modi diversi, sia sul campo di battaglia che molti anni dopo nella mente sconvolta di qualche reduce. A volte i postumi sono addirittura peggiori, perché quegli incubi vissuti in prima persona ti possono perseguitare per tutta la vita, lo abbiamo visto ad esempio nel tragico “Combat Shock” (1984) di Buddy Giovinazzo, una pellicola tostissima a cui siamo molto affezionati. Per avvicinarsi a “Jacob’s Ladder” (da noi vergognosamente intitolato “Allucinazione Perversa”) bisogna dimenticare per un attimo il curriculum di Adrian Lyne, regista britannico diventato celebre per i vari “Flashdance” (1983), “9 Settimane e ½” (1986), “Attrazione Fatale” (1987) e via dicendo. Questo è un prodotto a sé stante, un cinema di denuncia dove il passato drammatico di un ex combattente del Vietnam riaffiora attraverso un presente terrificante, una persecuzione dal sapore horror capace di abbattersi all’improvviso come una tempesta di pura angoscia.
Un ottimo Tim Robbins è Jacob, laureato in filosofia ma impiegato alle poste, una vita contrassegnata da molti traumi tra cui la guerra, un figlio investito da un’automobile e la rottura con la ex moglie Sarah. Quando Jacob cerca di risollevarsi con una nuova compagna (Jezebel), l’esperienza e i ricordi del Vietnam ritornano indietro come un boomerang sotto forma di strani accadimenti e orribili allucinazioni: scopriamo che l’uomo era stato vittima di alcuni esperimenti militari atti a sviluppare – grazie alla somministrazione di una potente droga – un’aggressività fuori dal comune (“it was reported that the hallucinogenic drug BZ was used in experiments on soldiers during the Vietnam war. The Pentagon denied the story”). Per Jacob non resta che affidare il proprio sconforto a Louis, il suo terapeuta, un angelo custode che lo aiuta a percepire diversamente la realtà.
Jacob, Sarah, Jezebel, lo stesso titolo del film, c’è tanta Bibbia in “Jacob’s Ladder”, un riferimento non troppo velato al passaggio dalla vita terrena a quella celeste. Proprio attraverso questa scala immaginaria il nostro protagonista riesce a raggiungere la verità (il finale catartico), l’ultimo stadio di un processo esistenziale in cui siamo circondati da soli demoni. Una sofferenza che stordisce, rivoltandosi di continuo all’interno di una storia mai limpida e lineare. Adrian Lyne muove le vicende su diversi piani narrativi, contribuendo alla complessità di un’opera già di base tutt’altro che immediata: in questo caso lo script di Bruce Joel Rubin si rivela efficace ed evita che il caos prenda il sopravvento, una stratificazione intelligente, minuziosa e mai lasciata al caso.
Quando “Jacob’s Ladder” mostra senza timore il suo lato oscuro, scopriamo che Adrian Lyne è un vero visionario a cui non piace tirarsi indietro: alcune scene fanno davvero impressione (quello che accade in ospedale è da brividi), grazie soprattutto a un comparto effettistico di alto livello (le teste che si muovono nevroticamente sono poi state riprese da una serie di pellicole horror orientali). Ma l’importanza di “Jacob’s Ladder” non si esaurisce qui: le atmosfere da incubo e i mostri di “Silent Hill” (in questo caso ci riferiamo al videogioco) hanno attinto sicuramente dall’opera in esame, lo stesso si può dire del futuro “Il Sesto Senso” (1999) di M. Night Shyamalan. Un film devastante, non c’è altro da aggiungere.

4

(Paolo Chemnitz)

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