di John Waters (Stati Uniti, 1977)
“Desperate Living” non nacque sotto una buona stella. David Lochary – un fedelissimo di John Waters – morì poco prima delle riprese, mentre Divine (la star assoluta di tutti i film precedenti) dovette rinunciare al suo ruolo poiché impegnata in un esclusivo tour teatrale. Nonostante queste defezioni, il regista di Baltimora è a dir poco ispirato e fin dai titoli di testa “Desperate Living” lascia presagire il peggio (in senso positivo ovviamente!). Un vero topo morto viene servito a tavola arrostito, pronto per essere tagliato e mangiato: il boccone finisce fuori campo, ma se ci fosse stata Divine probabilmente Waters avrebbe indugiato su un disgustoso primo piano (considerando il precedente con la merda di cane nel cult “Pink Flamingos”).
In Italia il film esce solo nel 1979 con il titolo fuorviante “Nuovo Punk Story”, dopo lunghe vicissitudini legate alla censura: di punk però non c’è proprio nulla, nonostante i distributori abbiano voluto collegare l’onda devastante di questo movimento con l’anarchia di fondo presente nella pellicola. Preferiamo perciò mantenere la denominazione originale, esistenze disperate come quelle di Peggy (Mink Stole) e della sua cameriera obesa Grizelda (Jean Hill), due donne costrette a scappare dopo aver commesso un omicidio in famiglia. Per sfuggire al carcere (l’incontro con un poliziotto pervertito è uno dei momenti top della pellicola) le protagoniste si rifugiano a Mortville, un paese governato dalla malvagia regina Carlotta (Edith Massey), dove ci imbattiamo in una sfilza di personaggi sopra le righe che rappresentano l’essenza stessa di un’opera veramente fuori di testa.
John Waters scrive nella sua autobiografia che “il film è una commedia fiabesca e mostruosa che ha a che fare con l’angoscia mentale, l’invidia del pene e la corruzione politica. Si rivolge a un pubblico di adulti assai nevrotici con la mentalità da bambini di otto anni”, tutto chiaro no? Una cosa è certa, “Desperate Living” è una black comedy che prende le difese dei più deboli, una satira tagliente contro il potere (i poliziotti al servizio della regina) e sull’impossibilità di creare una società giusta ed equilibrata. John Waters qui preme ancora di più sull’acceleratore, insistendo sul cattivo gusto, sul trash più becero e persino sullo splatter: aspettatevi quindi evirazioni, stupri, deorbitazioni, piselli al vento, scarafaggi come caramelle e dialoghi allucinanti, un campionario di schifezze politicamente scorrette che incarnano al meglio l’anticonformismo militante del regista del Maryland. Inoltre Waters lavora con un budget maggiore del solito, motivo per il quale i classici squallidi esterni naturali del passato sono sostituiti dal set artificiale dove è stata costruita Mortville, questa città popolata da sbandati di ogni tipo (si tratta di veri senzatetto, condotti sul posto con un pullman e utilizzati come comparse).
Marilyn Manson è un fan dichiarato di “Desperate Living”, non a caso ha campionato un frammento del film per il suo album Portrait Of An American Family. E non potrebbe essere altrimenti, visto che il cinema di John Waters è un passaggio obbligato per comprendere i meccanismi della controcultura statunitense in opposizione al perbenismo borghese. Quello che accade puntualmente in questo lavoro, un prodotto talmente irriverente e spassoso che a fine visione avrete voglia di ricominciarlo da capo. A stomaco vuoto, possibilmente.
(Paolo Chemnitz)
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
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