Wij

wijdi Rene Eller (Olanda/Belgio, 2018)

All’interno di quel cinema legato a doppio filo con il disagio delle nuove generazioni, “Wij” è un film che irrompe a gamba tesa, un’opera persino capace in alcuni passaggi di alzare verso l’alto l’asticella del politicamente scorretto. Se ad esempio le vecchie pellicole di Larry Clark ci catapultavano nei sobborghi americani per sbatterci in faccia la grigia quotidianità di tanti adolescenti piuttosto trasandati, il regista olandese Rene Eller allarga la prospettiva esasperandone ogni contenuto, un po’ come avevamo visto nel controverso “Klip” di Maja Miloš: questa volta però i giovani protagonisti sono più grandicelli ma soprattutto sono fighetti e benestanti, una sorta di aggravante se consideriamo il nichilismo assoluto di cui è intriso questo lungometraggio.
Ci troviamo in una piccola cittadina al confine tra Belgio e Olanda: qui otto amici stanno per affrontare un’estate di quelle da ricordare, una vacanza in cui si gioca e si scherza fino a perdere completamente il controllo della situazione. Le prime esperienze sessuali presto si trasformano in depravazione e pornografia (le immagini del filmetto amatoriale), mentre con estrema nonchalance le ragazze cominciano a guadagnare soldi facili prostituendosi in giro. Tutto è mostrato in modo piuttosto esplicito, senza censure, anche in maniera un po’ gratuita a dire il vero. Questo però è soltanto l’inizio, perché episodi ben più gravi presto sconvolgono le giornate dei nostri insopportabili teenager capitanati dal sadico e psicopatico Thomas.
“Wij” ovvero “We” (noi), perché quando a prevalere è un costante vuoto morale e intellettuale, non c’è spazio per il singolo individuo ma solo per un branco di stupide bestie. Un titolo dunque eloquente per un film che scorre piuttosto in fretta (il montaggio è divino) anche per via di una netta divisione in capitoli (quattro in tutto), diverse prospettive che ci aiutano a ricomporre le tante malefatte messe in atto dal gruppo. Al di là di un soggetto ispirato all’omonimo romanzo di Elvis Peeters, Rene Eller sembra guardare al Korine di “Spring Breakers” (2012), pur mantenendo quello spirito indie tipicamente europeo che ritroviamo nella regia e in una messa in scena tutt’altro che ampollosa. Un’opera quindi spigliata, aggressiva e al passo con i tempi (molto hipster la colonna sonora con Bon Iver, Mount Kimbie e tanti altri), come questi giovani privi di sensibilità e sempre disinvolti in ogni situazione.
Di contro, possiamo dire che in “Wij” non c’è molta attenzione per la sceneggiatura, la pellicola infatti poggia su una lunga serie di singoli episodi (per certi versi incompiuti) senza mai affondare a dovere negli stessi, un freno che si somma a un’esplorazione psicologica purtroppo abbozzata, incapace perciò di delineare con lucidità il carattere di questi diciottenni. Tuttavia al termine della visione il messaggio lanciato dal regista resta bene impresso, un allarme che porta alle estreme conseguenze un decadimento morale mai così eccessivo e destabilizzante: edonismo, dissolutezza e nessun pentimento all’orizzonte, è il mondo stesso che ormai segue a pieno regime questa direzione (con gli adulti complici più che mai).

3

(Paolo Chemnitz)

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