di Carlos Reygadas (Messico, 2012)
Siamo sicuri che dopo le tenebre ci sia la luce? Un bagliore forse, ma di natura malevola, oscuro e inquietante come l’ultimo tramonto prima dell’apocalisse. Ce lo ricorda anche lo stratosferico incipit, nel quale una bambina viene ripresa mentre cammina in un acquitrino circondata da animali allo stato brado. Il cielo sta diventando sempre più buio e avvertiamo un pericolo invisibile, evidenziato dai contorni delle immagini sempre più sfocati e nebulosi. Ma Carlos Reygadas ci aveva già abituati a queste partenze fulminanti, pensiamo ai primi minuti di “Stellet Licht” (2007), ancora una volta indissolubilmente legati alla potenza suggestiva delle leggi naturali.
Che in “Post Tenebras Lux” ci sia un costante elemento perturbante ce ne accorgiamo subito dopo: durante la notte, un diavolo rosso fuoco realizzato in digitale si intrufola dentro una casa, è il Male che striscia all’interno del focolare domestico. Questa entità fluorescente sceglie bene le sue vittime, coglie la loro fragilità e le manipola a dovere (curiosa la cassetta degli attrezzi stretta tra le dita della creatura). Nel caso in esame, la dimora è infatti abitata da una famiglia giunta ormai al capolinea e trasferitasi da poco nelle campagne messicane, dove la vita è completamente diversa rispetto alla città.
Carlos Reygadas gira con un atipico formato 4:3 e firma un’opera criptica, metafisica e di ardua assimilazione, pensata forse più per se stesso che per il pubblico. La sua regia (premiata a Cannes nel 2012) è sublime, il vero motore di un film la cui fosca sceneggiatura resta sullo sfondo, annebbiata da questo mood cupo, straniante, quasi ipnotico. In questa comunità ristretta accadono comunque molte cose: incontri tra alcolisti anonimi, orge dentro una sauna (sequenze girate con classe ma ammantate da un evitabile substrato intellettuale che scomoda Hegel e Duchamp), partite a rugby dal significato puramente simbolico ed esasperazioni che deviano persino sull’horror, come nella scena gore conclusiva (che in parte stona con il contesto generale).
“Post Tenebras Lux”, nella sua complessità, è un lavoro coraggioso. La forza del sonoro dà voce a un linguaggio universale sospinto dal vento che fagocita la quotidianità dei protagonisti: li rinchiude in un vicolo cieco, li condanna senza possibilità di fuga. Con il diavolo lì dietro, come un fantasma dal passo felpato. Quella di Reygadas è un’esperienza post-antropologica che perlustra le vie remote della condizione umana, sfiorando tecniche e concetti già presenti in Tarkovskij, Sokurov o Dreyer, senza dimenticare qualche piccola reminiscenza che ci conduce fino a Von Trier (“Antichrist”, ovviamente). Di sicuro questo assolutismo autoriale limita la fruizione stessa del film, un contenitore visivo di altissimo livello da cui si esce frastornati, confusi, meravigliati e allibiti, anche dopo una seconda (necessaria) visione. “Post Tenebras Lux” è un film da elaborare squarcio dopo squarcio, un capolavoro mancato che più volte sembra poterlo diventare, senza però riuscirci. Come una luce divina che prova inutilmente ad accendersi, soffocata da qualcosa di inafferrabile.
(Paolo Chemnitz)