di Bob Clark (Canada/Stati Uniti, 1974)
Quando si avvicinano le feste natalizie, il cinema spesso ci propone il peggio: patetici film per famiglie, cinepanettoni, buonismo a palate e lieto fine assicurato. Ma per fortuna c’è un lato oscuro fatto di horror, di commedie politicamente scorrette e di opere di varia estrazione che sfruttano queste gioiose atmosfere solo per creare il giusto contrasto con qualcosa di molto inquietante. Esattamente quello che avviene in “Black Christmas” aka “Un Natale Rosso Sangue”, film di cui esiste un trascurabile remake del 2006. Alla regia troviamo Bob Clark, autore del sottovalutato “La Morte Dietro La Porta” (1974) ma anche di tante sboccate commedie durante gli anni ottanta.
“Black Christmas” ci proietta subito in un gelido Natale: la città è sommersa dalla neve (le riprese sono state effettuate a Toronto) e il collegio nel quale vivono le ragazze protagoniste è illuminato dalle decorazioni che squarciano il buio circostante, mentre sullo sfondo risuonano i cori di “Silent Night”. Questa casa presto diventa il centro assoluto delle vicende, poiché seguiamo la soggettiva di qualcuno che sta penetrando nell’edificio. Intanto però squilla il telefono, è un maniaco sessuale che inizia a perseguitare le giovani collegiali, un chiaro segnale che qualcosa di strano sta per accadere proprio lì, tra quelle pareti.
Quello di Bob Clark è un esempio lampante di proto-slasher: insieme a film storicamente indiscutibili come “Reazione A Catena” (1971) oppure “Halloween” (1978), questo thriller anticipa quella modalità omicida seriale che poi sarà il motore del cinema horror dei primi anni ottanta. Qui però il sangue lascia spazio alla tensione (latente) e a un senso di claustrofobia che si insinua fin dai primi fotogrammi della pellicola, anche perché noi spettatori – al contrario delle ragazze – sappiamo subito dove è nascosto il pericolo. Questo clima di angoscia è rafforzato da ottime inquadrature e da una serie di personaggi ben contestualizzati all’interno della storia, in attesa di un finale debordante che rappresenta un po’ la ciliegina sulla torta.
Sono tanti i motivi per cui è impossibile dimenticare “Black Christmas”, a cominciare dalle telefonate oscene del maniaco, da annoverare tra le più deliranti di sempre in compagnia di quelle del paperino killer nel fulciano “Lo Squartatore Di New York” (1982). Ma ancora una volta è il contrasto tra la violenza e il mood natalizio a dettare legge, come in uno degli omicidi, sapientemente alternato con i cori innocenti della festa imminente: un bianco Natale che per noi diventa nero, come da titolo. “Black Christmas” è un classico da rivedere tutti gli anni sotto l’albero, non stanca mai.
(Paolo Chemnitz)