di James DeMonaco (Stati Uniti, 2016)
“The Purge” (2013) non era altro che un godibile home invasion inserito all’interno di una deriva socio-distopica. Il successivo “The Purge: Anarchy” (2014) fu invece realizzato con un budget molto più consistente, un film incentrato su magnifiche atmosfere notturne (di taglio carpenteriano) ma troppo dispersivo nella sceneggiatura. Così, in attesa del poker servito (“The Purge: The Island” vedrà la luce nel 2018 e sarà un prequel), torniamo sul terzo capitolo di questa saga scritta e diretta da James DeMonaco, in Italia conosciuta anche come “La Notte Del Giudizio”.
Con “The Purge: Election Year” ci troviamo nel 2040 ed entrano in gioco i piani alti del potere americano, con un titolo che rimanda alle elezioni presidenziali e al solito dualismo tra repubblicani e democratici: il film infatti schiera da un lato i cattivi (con dietro organizzazioni paramilitari filonaziste) e dall’altro i buoni, sospinti dalla senatrice Charlie Roan, candidata alla Casa Bianca e sempre dalla parte dei più deboli (è lei il vero pericolo per l’opposizione, in quanto il primo punto del suo programma è quello di abolire il consueto sfogo annuale). Una dicotomia piuttosto banale che prende una posizione netta ma non sincera sulla situazione politica statunitense, dopotutto democratici e repubblicani rappresentano per certi versi due facce della stessa medaglia.
Come previsto la fatidica notte del giudizio parte in quarta, il mood è realmente cupo e inquietante e la violenza esasperata dei primi omicidi non lascia dubbi sulla volontà di puntare sempre sui cani sciolti che girano per le strade con lo scopo di massacrare più gente possibile (“we will now purge. We will torture you and violate your flesh. Remove your skin and share in your blood. This is the American way”). La scena del drone è molto suggestiva ma convincono pure le immagini dell’agguato con le maschere di alcuni presidenti (il potere che uccide il cittadino?). Meno interessante invece la gang di ragazzine afro-americane: look esagerato e un’automobile illuminata come un albero di Natale, praticamente una tamarrata studiata appositamente per fare colpo sul pubblico.
Il film intrattiene a dovere grazie alle buone prove attoriali (Frank Grillo su tutti) e all’elevato ritmo narrativo, anche se la prima parte si dimostra molto più accattivante della seconda, nella quale i risvolti action prendono il sopravvento in maniera troppo spudorata facendo il gioco del pubblico mainstream meno esigente. “The Purge: Election Year” si rivela così un discreto contenitore thriller-horror da guardare tutto d’un fiato, nonostante quella retorica che dietro forti pretese (fanta)politiche nasconde i classici stereotipi del cinema commerciale americano (personaggi piatti e artificiosi, oltre al solito orribile schieramento bene contro male, senza alcuna sfumatura possibile).
Un terzo capitolo altalenante ma pur sempre godibile, meno riuscito del precedente “The Purge: Anarchy”. Solo per veri appassionati di deliri metropolitani.
(Paolo Chemnitz)