di Shane Meadows (Gran Bretagna, 2006)
Per il cinema non è mai stato facile descrivere il mondo degli skinhead, una controversa sottocultura che non sarebbe tale se accanto a essa non ci fosse del disagio sociale e un certo immaginario perfettamente distinguibile attraverso il look o le tendenze musicali. Il botto vero e proprio sopraggiunge nel 1982 con un film televisivo diretto da Alan Clarke, “Made In Britain”, in cui il protagonista è un giovanissimo e ispirato Tim Roth al suo esordio assoluto. Di prodotti più o meno simili poi ne abbiamo visti tanti, ognuno con le sue peculiarità: dal russo “Luna Park” (1992) fino al nostrano “Teste Rasate” (1993), passando per il più celebrato “American History X” (1998) o per opere meno remote come il serbo “Skinning” (2010) o il tedesco “Kriegerin” (2011). La lista potrebbe proseguire con decine di altri titoli, ma noi ci fermiamo al 2006 con la pellicola che ha consacrato Shane Meadows in ottica internazionale, “This Is England”.
Ci troviamo nel 1983, è estate e nel Regno Unito (al governo c’è Margaret Thatcher) il tema della guerra nelle Isole Falkland è ancora caldo: l’esito del conflitto (a favore dei britannici) aiuta a rafforzare quel patriottismo già diffuso tra le nuove generazioni. Cresce il teppismo negli stadi (i famigerati hooligans), mentre nelle zone povere e periferiche della Gran Bretagna aumenta la disoccupazione e si sviluppa un certo malcontento tra le classi meno agiate. In uno scenario simile seguiamo la vita di un dodicenne di nome Shaun, deriso dai suoi compagni di scuola e rimasto orfano del padre, morto durante la guerra di cui sopra. Il giovane è spaesato ma riesce a trovare un costante punto di riferimento frequentando una gang di skinhead che lo prendono in simpatia. Da qui la trasformazione, capelli rasati, Dr. Martens ai piedi e una quotidianità tutto sommato meno pesante. L’equilibrio però si rompe quando Combo, uno skin xenofobo e violento appena uscito di prigione, rientra nei ranghi del gruppo trascinando Shaun dentro una spirale di teppismo e di intolleranza verso gli immigrati.
Per certi versi “This Is England” sembra un documentario: la scelta di attori non professionisti non è quindi casuale, così come questo sguardo distaccato e per nulla patinato sulla società inglese degli 80s. Le riflessioni del regista arrivano dunque alla conclusione che la politica centra ben poco in queste faccende, trainate invece da un vuoto esistenziale in cui ci si aggrappa a qualcosa pur di sopravvivere. Nel caso in esame il giovane protagonista si unisce agli skinhead come ultima spiaggia, conoscendo persino l’ebbrezza di un sentimento amoroso (in un passaggio forzato ed evitabile).
“This Is England” discende da “Made In Britain”, ne costituisce il figlioccio consapevole (poiché girato oltre venti anni dopo), senza però possederne la stessa irruenza sovversiva. Sotto questo punto di vista Shane Meadows dimostra di possedere una poetica più spiccata (il finale o le dinamiche da coming of age) che non rinuncia alla violenza (la scena del pestaggio) ma che si adagia fin troppo nella narrazione, sinceramente povera di brividi improvvisi. Un film quindi più intimista, di natura autobiografica, velato da un’amarezza di fondo difficile da estirpare. A nostro avviso non il capolavoro del regista ma soltanto un buon prodotto, comunque al di sotto del sottovalutato e superbo “Dead Man’s Shoes” di due anni precedente. Un consiglio: evitate l’edizione italiana, il doppiaggio è atroce.
(Paolo Chemnitz)