Dead Man’s Shoes

dead man's shoesdi Shane Meadows (Gran Bretagna, 2004)

Associare il nome di Shane Meadows al film “This Is England” (2006) può sembrare scontato, eppure il regista dello Staffordshire due anni prima fece addirittura di meglio: “Dead Man’s Shoes – Cinque Giorni Di Vendetta” è infatti un titolo tra i più intensi realizzati durante lo scorso decennio nel Regno Unito, un revenge movie crudo, doloroso e annichilente che ancora oggi ricordiamo con grande ammirazione. Il merito è da attribuire anche alla superba interpretazione di Paddy Considine nei panni del protagonista, un prolifico attore che poi abbiamo riscoperto dietro la telecamera (suo il valido “Tirannosauro” del 2011).
Ci troviamo nel verde Derbyshire: Richard (Considine) ha servito per tanto tempo l’esercito, ma quando fa ritorno nel suo paese scopre che una banda di balordi ha terrorizzato per anni il fratello Anthony (un tenero e credibile Toby Kebbell), un giovane affetto da un leggero ritardo mentale. Alcuni flashback (sgranati e in b/n) ci aiutano a ricomporre il passato, mettendo a confronto la vigliaccheria di questo gruppetto di bulli con la fragilità del povero Anthony, spesso picchiato e umiliato. L’arrivo di Richard capovolge la situazione, così dalle intimidazioni (memorabile la sua prima apparizione in maschera antigas) egli passa alla vendetta vera e propria, un piano minuzioso volto a eliminare tutti i componenti di quella gang (in realtà si tratta dei soliti personaggi scapestrati di provincia, persi nel nulla quotidiano tra partite di biliardo e cocaina).
“Dead Man’s Shoes” è un film scarno ed essenziale: Shane Meadows punta tutto sul rancore di un protagonista cinico e determinato, capace di seguire un percorso studiato a tavolino che nella parte finale ci riserva più di una sorpresa. La telecamera studia il suo volto, i suoi occhi combattivi e carichi di rabbia, un’energia che irradia quella campagna inglese silente e apatica, privata della sua brillantezza da una fotografia che sembra volersi adagiare sul vuoto esistenziale delle vittime designate. Richard piomba in quel luogo come un angelo sterminatore, riportando l’ordine attraverso l’annullamento dell’individuo fatto tale tramite la legge del branco, una giustizia privata che richiede fermezza, spietatezza e sacrificio (“now I’m the fucking beast. There’s blood on my hands, from what you made me do”).
Pur nella sua lineare semplicità, “Dead Man’s Shoes” è un film teso e sempre votato all’azione, accompagnato da una discreta colonna sonora (dai Calexico ad Aphex Twin) che ne delinea ossessivamente ogni contorno: non servono neppure novanta giri di lancetta per dare vita a una pellicola tra le migliori nel genere di riferimento, almeno restando nel millennio in corso. La vendetta è un piatto che va servito freddo.

4,5

(Paolo Chemnitz)

dead man's

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