
di Stevan Filipovic (Serbia, 2010)
“Skinning” (“Sisanje”) è un lungometraggio incentrato su un argomento molto delicato, considerando che dopo il crollo del blocco sovietico sono stati proprio i paesi dell’Europa orientale a dover fronteggiare degli enormi rigurgiti nazionalisti: il caso eclatante della ex Jugoslavia continua ancora oggi a tormentare la coscienza di molte persone, non a caso nel cinema estremo proveniente da quelle parti (ci riferiamo specificatamente alla Serbia) non mancano quasi mai dei riferimenti più o meno velati al sanguinoso passato degli anni novanta (lo abbiamo visto anche nel controverso “A Serbian Film”).
Novica è uno studente modello, un piccolo genio della matematica che durante i compiti in classe cerca di dare una mano al suo compagno Relja, uno skinhead con cui è amico. L’influenza di quest’ultimo diventa però sempre più ingombrante: Novica comincia infatti a uscire con Relja, frequentando con lui alcuni ritrovi simbolo dell’estrema destra, come ad esempio lo stadio oppure un covo segreto arredato con bandiere naziste. Paradossalmente, è proprio il nostro protagonista a prendere sul serio (più degli altri) questa missione politica, diventando in breve tempo il leader carismatico della gang, un ruolo che presto sconfina in atti di violenza e in un tragico omicidio in cui viene massacrato uno zingaro.
Il regista Stevan Filipovic entra un po’ di corsa nelle vicende, catapultando subito Novica dai banchi di scuola alle gradinate dello stadio e curando relativamente la sua repentina trasformazione: il film però migliora con il passare dei minuti, alternando la scalata personale di questo novello skinhead all’indagine condotta da una coppia di poliziotti, sempre più convinti che quelle teste rasate possano essere state coinvolte nell’uccisione del rom. Attraverso questi eventi, emergono delle falle nel sistema che suonano quasi come una denuncia. Il compromesso tra criminalità (in questo caso l’estremismo) e istituzioni (la polizia) viene infatti smascherato nel convulso epilogo da dove nessuno esce vincitore, anche perché tra questi fotogrammi si respira ancora quella scomoda eredità rimasta integra nella memoria dei serbi (viene più volte citata la figura di Slobodan Milošević).
Purtroppo la pellicola perde una parte del suo potenziale per via di una fotografia davvero scialba, un approccio troppo televisivo che non offre neppure alcun guizzo degno di nota alla regia. Tra i tanti prodotti incentrati su queste tematiche, “Skinning” esteticamente non è certo tra i migliori, ma la sua provenienza balcanica si dimostra comunque un diversivo non trascurabile capace di alzare la nostra attenzione nei confronti del film. Un titolo che dunque merita uno sguardo, anche solo per il dramma in cui scivola questo ragazzo alla spasmodica ricerca di una propria identità.

(Paolo Chemnitz)
