di Pavel Lungin (Francia/Russia, 1992)
Nel 1990 Pavel Semyonovich Lungin fa il suo esordio a Cannes vincendo il premio come miglior regista per “Taxi Blues”, un’opera che nell’anno successivo riuscì pure a entrare tra le nomination ai Golden Globes. Passano pochi mesi e il regista si trasferisce in Francia, cominciando a girare una manciata di pellicole prodotte proprio nel paese transalpino, tra le quali troviamo questo “Luna Park”, uno dei film simbolo della transizione tra Unione Sovietica e Russia.
Le prime sequenze sono indimenticabili: più che a Mosca sembra di vivere in una metropoli apocalittica, perché degli skinhead ultranazionalisti stanno per scontrarsi con una gang di bikers, minacce che nel giro di un attimo si trasformano nella violenza urbana più becera. Il muscoloso Andrei è il giovane leader di questo gruppo (chiamato The Cleaners), il cui fine è quello di ripulire la Russia da ebrei, omosessuali e stranieri. Ma presto la missione del protagonista si rivela un’altra, in quanto Andrei vive con la convinzione che il padre sia morto da eroe di guerra durante la guerra in Afghanistan. Nulla di tutto ciò, poiché l’uomo in realtà è un musicista ebreo ancora attivo in città, una rivelazione che ribalta completamente ogni prospettiva, mettendo il ragazzo davanti a una scelta.
“Luna Park” (il titolo si riferisce al luogo dove si riuniscono questi skinhead) non ha mai avuto molta fortuna all’estero, questo perché Pavel Lungin – messa da parte l’indagine sociale – riesce invece a fare spazio a una metafora molto profonda, incentrata sulla ricerca dell’identità: la redenzione di Andrei diventa automaticamente quella di una nazione intera, in un delicato periodo storico dove tutto era ancora in fase di assestamento. Non a caso l’inasprimento dei nazionalismi e le conseguenti discriminazioni nei confronti delle minoranze ha rappresentato uno dei problemi principali della neonata Russia, un paese che allo stesso tempo si stava muovendo verso la modernità (la vita libera ed eccentrica degli artisti moscoviti). Proprio da questo bivio viene di seguito modellato un epilogo catartico, capace di allontanare ogni spettro nel nome di una nuova partenza.
Tra i tanti prodotti incentrati sulla rinascita umana di un personaggio violento e controverso, “Luna Park” si ritaglia il suo meritato spazio: quello mostrato dal regista è infatti un conflitto generazionale pregno di riferimenti alla storia contemporanea di una nazione, un duro affresco non privo di importanti riflessioni personali che avrebbe meritato maggior considerazione al di là dei confini post-sovietici.
(Paolo Chemnitz)