di Herman Yau (Hong Kong, 1996)
Tre anni dopo l’imprescindibile “The Untold Story” (1993), la formidabile coppia formata da Herman Yau (alla regia) e Anthony Wong (l’attore protagonista) torna a sconvolgere le sale orientali con un film ancora più infimo e ripugnante, “Ebola Syndrome”, una pellicola carica di sensazioni ereditate dal precedente lavoro che vengono ulteriormente portate all’eccesso, buttando in mezzo persino le news provenienti dal continente nero (durante quel periodo giunsero molte notizie sui numerosi focolai di virus Ebola in Africa). Il risultato è un Cat III (la sigla con cui ad Hong Kong sono bollate le pellicole proibite ai minorenni) che punta esclusivamente sul fattore exploitation, un horror letteralmente trascinato da un indiavolato Anthony Wong.
Kai è un pazzo maniaco: si scopa la moglie del suo datore di lavoro, viene scoperto e ammazza tutti e due, per poi scappare in Sud Africa lavorando in un ristorante cinese. Qui contrae il virus Ebola (da portatore sano) dopo aver violentato una donna indigena che gli vomita in faccia in punto di morte (“this is awesome, black chick from Africa”), infine rientra in Asia e riprende a uccidere senza pietà, stuprando e diffondendo la malattia attraverso i suoi fluidi corporei. Un quadretto piuttosto invitante se cercate un prodotto folle e disgustoso in linea con il suo celebre predecessore (anche in questo caso infatti c’è di mezzo la carne umana cucinata e offerta ai clienti di un ristorante).
Dimenticate il politicamente corretto, in “Ebola Syndrome” non c’è spazio per alcuna morale poiché lo psicopatico Kai è una figura tra le più odiose e repellenti mai finite sullo schermo: la storia in realtà non offre spunti importanti, ma lo shock è sempre in agguato e tra una miriade di scene splatter e di azioni a dir poco disdicevoli l’opera si esaurisce dopo novantotto minuti di delirio assoluto (il minutaggio ufficiale è questo, visto che la versione originale del film con alcune sequenze molto più estreme pare sia andata definitivamente dispersa).
Considerando la provenienza della pellicola, “Ebola Syndrome” è anche un prodotto grottesco che spesso preme l’acceleratore sull’umorismo più becero, una volgarità dissacrante non di facile presa per un pubblico meno preparato a visioni di questo genere. Se “The Untold Story” risulta più genuino e calibrato, questo lungometraggio ne prolunga le nefandezze, straripando in maniera persino scellerata (tutta la vicenda legata all’epidemia rappresenta il tocco di classe che nessuno si sarebbe potuto immaginare!). Herman Yau compie quindi il suo dovere senza vergogna, infierendo su chiunque capiti a tiro quasi a voler far coincidere la proliferazione del virus con la violenza dilagante presente nel mondo contemporaneo: lo spazio per riflessioni sociali è comunque quasi assente, perché “Ebola Syndrome” diverte, disgusta e si esaurisce lasciandoci impietriti davanti a un abominio di tale portata. Malatissimo.
(Paolo Chemnitz)