di Brian Yuzna (Stati Uniti, 1989)
Brian Yuzna, statunitense di origini filippine classe 1949, con “Society” realizza il suo capolavoro. Dopo anni di esperienza come sceneggiatore ma soprattutto come produttore delle più celebri pellicole di Stuart Gordon (“Re-Animator”, “From Beyond”, “Dolls”), Yuzna passa alla regia e pone la pietra tombale definitiva sul cinema fantastico degli anni ottanta. Un decennio segnato dalla televisione, dalle commedie giovanili patinate e dalla presidenza Reagan, un involucro attraente che nasconde sotto al tappeto la miseria delle classi meno abbienti.
Beverly Hills è uno dei luoghi simbolo del sogno americano: villette a schiera, palme, belle macchine, famiglie felici e giovani che si divertono tra donne e festini, una società perfetta, almeno in apparenza. Billy Whitney però non la pensa così. Il ragazzo (neppure maggiorenne) è scosso da una profonda inquietudine che confida al suo psicologo (“ho paura dei miei genitori, di mia sorella… sento che sta per succedere qualcosa, se indagassi un po’ scoprirei qualcosa di terribile”). In effetti ciclicamente egli soffre di visioni allucinanti, come quando addenta una mela ricolma di vermi oppure quando scorge la sorella sotto la doccia con il torso rovesciato e le natiche sotto al seno. Ma nessuno tiene conto delle sue premonizioni, tranne un impacciato coetaneo di nome Blanchard che gli fa ascoltare una registrazione ambigua, dove i genitori di Billy e alcuni amici sembrano impegnati in strane conversazioni ad alto tasso erotico.
Chi conosce il film sa bene cosa accade nell’ultima parte, per tutti gli altri l’avviso è che il resto della recensione contiene ovviamente degli spoiler: “Society – The Horror” (il titolo italiano è più articolato) ha il pregio di sapersi trasformare in un delirio surreale che non ha eguali, tramutando l’impianto televisivo di assoluta estrazione 80s della prima ora di visione in una possente satira antiborghese dai contorni allucinanti. Praticamente un’orgia di corpi deformi, la perversione mostrata in un tripudio di body horror e marciume (davvero travolgenti gli effetti realizzati da Screaming Mad George).
Una partenza paranoica quindi (quasi di marca polanskiana, non a caso il regista cita “Rosemary’s Baby” come ispirazione), per poi atterrare sul finale che smaschera in modo esemplare l’ipocrisia e il finto perbenismo dell’alta società americana. Curioso il fatto che proprio l’anno successivo viene lanciata la serie tv “Beverly Hills 90210”, un longevo teen drama che attraversa i 90s eclissando le scomode verità raccontate da Yuzna, artefice di un film politicamente scorretto che però trova spazio nelle sale americane solo nel 1992 (mentre in Italia esce con una locandina completamente fuorviante). Proprio per questo motivo “Society” rappresenta l’ultimo vero tassello di un tipo di cinema che da lì a poco finisce in letargo: lo stesso regista realizza altre pellicole ma non riesce a mantenere il livello qualitativo sperato (ci riferiamo al contemporaneo “Re-Animator 2” o al pur originale primo capitolo di “The Dentist”), perciò dopo quasi trent’anni è proprio “Society” a prendersi tutte le meritate celebrazioni del caso e non potrebbe essere altrimenti. Il capitalismo che fagocita i corpi è ancora vivo nelle immagini conclusive di un film letale, spaventoso e a suo modo unico.
Lo trovo tuttora disturbante come film.
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