di Stuart Gordon (Stati Uniti, 1985)
Il rapporto duraturo tra il cinema horror e le opere di Howard Phillips Lovecraft non può fare a meno di “Re-Animator”, un film importante non solo per la sua epoca. Herbert West-Reanimator è il nome dell’unico racconto di Lovecraft scritto su commissione (poi pubblicato su una rivista nel 1922), un’opera innovativa nell’ambito della letteratura fantastica, considerando che durante quel periodo i morti che resuscitavano erano per lo più inscindibili dalla tematica del voodoo. Lo scrittore di Providence lascia invece una pesante eredità, rimettendo l’argomento nelle mani della scienza ed esplorandone sia i limiti che le ambizioni, esattamente come accade nella pellicola di Stuart Gordon (comunque ispirata con molta libertà al celebre racconto).
Herbert West (Jeffrey Combs) è uno studente di medicina dalle idee stravaganti: in passato a Zurigo era stato allievo di uno scienziato che stava perfezionando un metodo per risvegliare i cadaveri. Quando West si trasferisce in un ospedale americano, inventa un siero che – iniettato nella regione occipitale di una persona deceduta da pochi minuti – riesce a riportare in vita i defunti. Una situazione bizzarra che ovviamente sfugge al controllo del protagonista e dei suoi collaboratori (l’amico Dan Cain e la fidanzata Megan Halsey, interpretata da una giovane Barbara Crampton).
“ – So West, what kind of medicine are you involved in? – Death”.
“Re-Animator” parte addirittura col freno a mano, la prima mezzora è puramente introduttiva e le vicende legate all’esperimento entrano in gioco un po’ alla volta: bisogna attendere la scena del gatto Rufus per mettere in circolo quell’adrenalina che con il trascorrere dei minuti si trasforma in un totale delirio da elettrizzante commedia horror. Il regista punta lo sguardo su classici come “Frankenstein” (1931) o “Il Cervello Che Non Voleva Morire” (1962) ma riesce miracolosamente a non scadere nei cliché del fantahorror di lontana memoria, portando nuova linfa all’interno di un solido e facilmente distinguibile immaginario anni ottanta. Il sangue è presente in dosi massicce e ci si diverte con poco, una formula successivamente ricalcata da molti altri film in bilico tra orrore e black humour: pensiamo alla citazione del gatto zombi presente in “Dimensione Terrore” (1986), alla tematica portante di “Frankenhooker” (1990) o all’approccio cazzone e irriverente del mitico “Splatters – Gli Schizzacervelli” (1992).
Quella di Stuart Gordon è una parodia che prende per il culo un po’ tutti: la lucida follia del mad doctor o la macabra ironia che muove le azioni della testa mozzata sono soltanto alcune sfaccettature di un prodotto folle, dissacrante e sorprendentemente violento. La produzione targata Brian Yuzna sigilla in maniera definitiva un’opera che non ha bisogno di ulteriori elogi. Death is just the beginning, che spasso!
(Paolo Chemnitz)