N.P. Il Segreto

di Silvano Agosti (Italia, 1971)

Tra i registi scomodi di un cinema italiano che non c’è più, il nome di Silvano Agosti merita uno spazio particolare. Le sue pellicole, sempre permeate da una forte critica sociale, hanno spesso dovuto combattere contro le forbici della censura, fin dai tempi del lontano esordio “Il Giardino Delle Delizie” (1967). “N.P. Il Segreto” è invece il suo secondo film, un lungimirante esempio di fantapolitica purtroppo infilato nel cassetto per poi essere volutamente dimenticato dalle nostre istituzioni culturali.
N.P. sono le iniziali di un ingegnere (Francisco Rabal) che ha messo a punto un potente macchinario capace di convertire l’immondizia in prodotti commestibili (un’idea che anticipa parzialmente quello che vedremo due anni dopo con “Soylent Green”). Davanti a una rivoluzione di tale portata, il governo (ci troviamo all’interno di uno stato immaginario) non resta però a guardare, prima estromettendo il protagonista dal suo programma (attraverso la lobotomia) e poi lasciando a casa i lavoratori, ormai completamente avulsi dalla catena produttiva del paese e dunque disoccupati (ma sussidiati dal sistema). Tuttavia l’ingegnere, una volta recuperata la parola, si rende conto che qualcuno vuole definitivamente eliminare le masse: adesso sono prive di interessi e quindi risultano totalmente inutili per lo sviluppo della società.
Il regista bresciano si avventura nel suo lungometraggio più ambizioso, dove la matrice intellettuale del prodotto trova il suo compimento all’interno di un contenitore tanto destabilizzante quanto opprimente: se da un lato infatti il mondo sembra proiettato verso un miglioramento della vita dei cittadini, la realtà ci porta a pensare esattamente il contrario. Le sequenze in cui N.P. corre per le strade deserte di Roma fanno quasi accapponare la pelle, ma in generale Silvano Agosti pone più volte l’accento sulle atmosfere plumbee che minacciano questi individui, uomini per giunta fagocitati da una serie di architetture fredde e solenni (l’aspetto urbanistico dell’opera si rivela alquanto affascinante).
Fin qui tutto bene, al contrario dell’eccessiva carne messa sul fuoco: non a caso in “N.P. Il Segreto” si respira un clima post-sessantottino piuttosto marcato, in cui sfociano ulteriori spunti sociologici e (fanta)politici legati all’operato dei servizi segreti (oltre a venire a galla il delicato caso Mattei, non sono poche le premonizioni correlate alle future tragedie in procinto di avverarsi, delitto Moro incluso). Silvano Agosti non riesce dunque a capitalizzare al meglio i tanti argomenti suggeriti dalla pellicola, nonostante il costante supporto di una carica visionaria dai toni spesso allucinati, una marcia in più che possiamo sommare all’ottimo montaggio curato dallo stesso regista (senza dimenticare il valido accompagnamento musicale di un giovane Nicola Piovani).
Per Agosti andrà meglio più avanti (“Nel Più Alto Dei Cieli” è il suo lungometraggio più schietto e controverso), anche se l’oscuro rapporto tra potere e tecnologia trova proprio tra queste immagini alcune delle più intriganti scintille di genio dell’intero decennio, sulla scia di un’altra produzione contemporanea senza dubbio più compiuta, “Hanno Cambiato Faccia” (1971) di Corrado Farina.  

(Paolo Chemnitz)

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