Viridiana

di Luis Buñuel (Spagna/Messico, 1961)

Oltre a essere considerato uno dei migliori film diretti da Luis Buñuel, “Viridiana” è anche una delle sue pellicole più censurate e controverse: ci troviamo nel 1961 e contemporaneamente alla vittoria al Festival di Cannes, l’opera viene ritenuta sacrilega e blasfema dall’Osservatore Romano. Una voce che giunge in un attimo al regime franchista spagnolo, il quale vieta ogni proiezione del lungometraggio costringendo Luis Buñuel alla ritirata in Messico (un paese dove il regista aveva la cittadinanza, avendoci vissuto per molto tempo fin dal 1940).
Viridiana (Silvia Pinal qui ha un fascino innocente), una giovane novizia in procinto di prendere i voti, lascia momentaneamente il suo convento per andare a trovare lo zio Don Jaime, un uomo ancora traumatizzato da un grave lutto. Egli cerca subito di sedurre la protagonista, arrivando persino a narcotizzarla inscenando una presunta violenza sessuale nei suoi confronti (in modo tale da poterla trattenere per via della perduta verginità), ma gli eventi prendono una piega alquanto tragica. Questa prima parte del film è altamente drammatica e spacca praticamente in due la pellicola, chiudendo di fatto un breve capitolo dove la solitudine e la perversione di Don Jaime (interessanti gli spunti erotico-feticisti) si scontrano con la fede incrollabile di sua nipote, convinta ciecamente della sua missione religiosa. Questi presupposti iniziano però a vacillare quando Viridiana eredita con il cugino Jorge (Francisco Rabal) quella fattoria, accogliendo al suo interno alcuni poveri del villaggio più vicino.

Luis Buñuel affronta delle tematiche molto delicate senza porre alcun freno alla sua critica trasversale della società: che si tratti di borghesi, di pezzenti o di devoti credenti non cambia nulla, perché il materialismo più becero si è ormai impossessato della contemporaneità, una constatazione pregna di pessimismo e di nichilismo (in questo caso l’ironia buñueliana è meno pronunciata rispetto ad altre occasioni). Il banchetto/orgia dei mendicanti (una citazione esplicita per il Cenacolo di Leonardo da Vinci) o l’ambiguo e malizioso epilogo sono soltanto due istantanee di un’opera capace di mettere a nudo tutta la miseria dell’essere umano (oltre all’inutilità stessa della religione e dei suoi buoni propositi). Ecco il motivo per cui questa parentesi spagnola di Luis Buñuel è da leggere ancora oggi come un lampo nelle tenebre, come una luce che da sola è bastata per mettere a soqquadro l’oscurantismo di quel determinato periodo storico e dei suoi garanti.  
La carica sovversiva di “Viridiana” si rivela dunque intelligente e mai banale, per un approccio iconoclasta che riduce in cenere ogni tentativo di bontà e di carità cristiana: la potenza di questa pellicola è da ricercare proprio nella lenta ma efficace decostruzione messa in scena da Buñuel, artefice di un messaggio che dalla purezza iniziale tende a sprofondare negli inesorabili abissi della contorta e malsana natura dell’uomo. Una regia impeccabile fa il resto, per un risultato di altissima fattura. Come smontare ogni dogma pezzo per pezzo.

(Paolo Chemnitz)

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