di John Waters (Stati Uniti, 1974)
Due anni dopo il memorabile “Pink Flamingos” (1972), John Waters realizza la seconda pellicola a colori della sua carriera, “Female Trouble” (inizialmente intitolata “Rotten Mind, Rotten Face”). Se già con il sovversivo “Multiple Maniacs” (1970) il regista di Baltimora aveva mostrato interesse per il crimine (le azioni di Divine e della sua combriccola di pervertiti non erano poi così distanti da quelle commesse dagli psicopatici che avevano massacrato Sharon Tate), questo film riprende in maniera molto più radicale l’argomento, citando una serie di personaggi scomodi saliti alla ribalta della cronaca nera americana del periodo (Waters inoltre aveva assistito di persona al processo di Charles Manson). Ovviamente Divine non è da meno, visto che finisce direttamente sulla sedia elettrica (un reperto che il regista conserva ancora oggi nella sua abitazione).
La storia parte da lontano, durante gli anni sessanta: Dawn Davenport (Divine) è una studentessa svogliata che a scuola ne combina di tutti i colori. Non va meglio a casa, soprattutto quando si tratta di scartare i regali sotto l’albero di Natale (una scena cult nella quale i genitori della ragazza finiscono sepolti in mezzo alle decorazioni), un passaggio importante dove Waters mette in circolo anche i suoi traumi adolescenziali legati a una rigida educazione votata al conformismo e alla religione. La protagonista scappa dalla sua famiglia facendo l’autostop, ma tempo pochi minuti e la ritroviamo distesa su un materasso in uno dei più squallidi e lerci amplessi della storia del cinema. Quando atterriamo nel presente, Dawn Davenport è ormai una criminale a tutti gli effetti, per giunta costretta a sopportare una figlia nata proprio da quella terribile scopata. I siparietti tra Divine e la ragazzina sono fantastici, sia quando lei è solo una bambina (“vuoi essere sculacciata con l’antenna della macchina?”) sia quando la ritroviamo teenager e devota al movimento Hare Krishna (“ti avrei uccisa alla nascita se avessi saputo che saresti cresciuta con queste idee”).
La critica di John Waters è feroce e il suo spirito antiborghese non risparmia nessuno, neppure il presunto amore materno. Pur evitando di affondare nel disgusto più totale come nelle opere precedenti, “Female Trouble” è ancora una volta un film politicamente scorretto, capace di farci sorridere amaramente sulle disgrazie in cui si imbatte la nostra isterica Divine. Una pellicola sboccata e tragicomica quindi, a tratti talmente caotica da farci perdere la bussola: sono infatti davvero tanti i personaggi buttati nella mischia, molti dei quali presenze abituali nel cinema di Waters (Mary Vivian Pearce, Mink Stole, Edith Massey e David Lochary, poi prematuramente scomparso). Il lato trash di Baltimora al completo, come sempre.
“Female Trouble” non è certo il capolavoro di John Waters, ma è un b-movie assolutamente degno della sua fama: è l’esaltazione del crimine nel modo più sbilenco e allucinato possibile, un ennesimo manifesto cinematografico intriso di controcultura che non rinuncia alle solite entrate a gamba tesa nei confronti dell’America perbenista. Dopotutto per conquistare un po’ di fama bisogna uccidere, garantisce Dawn Davenport.
(Paolo Chemnitz)