di Konstantin Ershov e Georgiy Kropachyov (Unione Sovietica, 1967)
Cosa hanno in comune Mario Bava e questa coppia di registi sovietici? In apparenza nulla, eppure sia “La Maschera Del Demonio” (1960) che “Viy” prendono entrambi ispirazione dall’omonimo racconto di Nikolaj Vasilevič Gogol, pubblicato all’interno della raccolta Milgorod (1835). Ma se il film di Bava si colloca come pietra miliare del gotico italiano, l’opera di Konstantin Ershov e Georgiy Kropachyov rimane per anni sconosciuta in occidente, per poi iniziare a diffondersi lentamente dopo la caduta della cortina di ferro.
In seguito a una serie di disavventure, uno studente del seminario (Khoma) è incaricato di vegliare sulla salma di una strega per tre notti consecutive: ci troviamo in un piccolo villaggio (“Viy” è stato girato nell’odierna Ucraina) tra suggestive chiese e arcane atmosfere rurali, ma per il giovane il vero pericolo ha dei connotati sovrannaturali che emergono con prepotenza nell’indimenticabile epilogo. La strega infatti torna in vita tentando di uccidere Khoma con i suoi poteri, mentre l’uomo è costretto a ricorrere alla preghiera per scongiurare il peggio.
In poco più di settanta minuti non accade molto e bisogna avere la pazienza di aspettare le ultime battute del film per essere trascinati nel vero incubo che assale il protagonista. Durante la terza veglia Khoma viene circondato da una serie di presenze oscure: vampiri, scheletri, gnomi e altre figure che guardano sia al folklore slavo che a quello di matrice germanica (“I summon the vampires! I summon the werewolves! I summon Viy!”). Dopotutto quest’opera non è altro che il prototipo essenziale del cinema fantastico sovietico, un lavoro più unico che raro per un genere che da quelle parti è riuscito a svilupparsi soltanto in seguito alla caduta del blocco comunista. Nonostante l’approccio minimale, Konstantin Ershov e Georgiy Kropachyov riescono a costruire una pellicola di sostanza, intrisa di antiche superstizioni ma anche di filosofia e di un alone persino di taglio mystery. Gli effetti speciali non sono certo di primo livello, ma “Viy” richiede uno sforzo ulteriore da parte dello spettatore, in quanto è proprio il linguaggio cinematografico a prendere nettamente le distanze da ciò che veniva prodotto abitualmente in occidente durante quel periodo. Un gotico sovietico che incanta per la sua attitudine folk-horror, un po’ meno per l’uso fastidioso della musica e per i vari personaggi, troppo goliardici per essere almeno credibili. Se vi incuriosisce scoprire queste radici, “Viy” è una fiaba nera da vedere almeno una volta nella vita (è più importante che riuscita, ma il suo fascino è indiscutibile). Falce, martello e tradizioni popolari.
(Paolo Chemnitz)
Piccolo capolavoro, l’orrendo remake che ne fecero in tempi recenti non ha niente a che spartire con l’originale
"Mi piace"Piace a 1 persona