Multiple Maniacs

multipledi John Waters (Stati Uniti, 1970)

Dopo l’esordio con il lungometraggio “Mondo Trasho” (1969), l’anno seguente John Waters chiude la prima parte della sua carriera (incentrata su corti e film in b/n) con l’opera più controversa e sovversiva della sua intera esistenza, anche più del successivo e celebrato “Pink Flamingos” (1972). “Multiple Maniacs” ancora oggi resta il lavoro preferito dallo stesso regista, un prodotto da lui definito un’atrocità di celluloide poiché tecnicamente primitivo e recitato in maniera approssimativa (i dialoghi sono vomitati senza interruzione). Un film però aspro come un vero documentario, influenzato soprattutto dalle vicende di cronaca nera del periodo: Sharon Tate viene uccisa poco prima dell’inizio delle riprese e siccome gli assassini non vengono catturati subito, il regista cita più volte l’episodio, come se i veri killer fossero proprio Divine e tutta la combriccola di pervertiti che ci accompagna durante la visione.
In effetti, guardando “Multiple Maniacs”, sembra quasi di assistere ai crimini della Manson family, ovviamente stemperati da un approccio irresistibile da commedia trash: Divine e il suo fidanzato (David Lochary) portano avanti uno spettacolo itinerante all’interno di una tenda, un luogo che attira persone da tutte le parti della città, le quali accorrono lì per assistere alla cavalcata della perversione, ovvero un pornoshow realizzato da tossicomani. La gente però, una volta sul posto, viene derubata e ammazzata dalla banda di Divine. Il plot poi tende a disperdersi in una serie di scene completamente fuori di testa, come quando la nostra protagonista finisce in chiesa (dove si lascia sedurre da giochetti erotici con il rosario, quanta blasfemia in così pochi minuti!) oppure quando la stessa Divine, ormai in preda alla follia, viene attaccata e stuprata da un’aragosta gigante di cartapesta, una sequenza cult tra le più weird viste nella storia del cinema indipendente americano.
Multiple Maniacs mi ha davvero aiutato a spurgare il cattolicesimo fuori dal mio organismo” scrive John Waters nella sua autobiografia. Non poteva essere altrimenti, visto il contenuto sacrilego, osceno e politicamente scorretto di un film veramente anarchico, girato per giunta di nascosto per il terrore di denunce (il cast del precedente “Mondo Trasho” fu fermato dalla polizia per atti osceni in luogo pubblico). Inoltre, l’opera può contare su un gruppo affiatato di reietti ed emarginati che insieme a Divine faranno la fortuna del regista: dal già citato David Lochary, fino a Mink Stole, Edith Massey e Mary Vivian Pearce, il peggio del peggio di Baltimora, un luogo di perdizione indissolubile dal cinema di John Waters, il quale afferma: “non vorrei mai vivere in nessun altro posto che non sia Baltimora. Puoi cercare in lungo e in largo ma non troverai mai una città così strana con uno stile così estremo”.
“Multiple Maniacs” è quel cinema eccentrico che esalta la diversità, uno shock per il benpensante ma allo stesso tempo la più sincera e ficcante risposta all’America di Hollywood, di cui John Waters rappresenta l’esatto opposto. Fondamentale.

4

(Paolo Chemnitz)

multiplemaniacs

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