di Park Chan-Wook (Corea del Sud, 2016)
Dopo la tanto osannata trilogia della vendetta, il vampiro urbano del sottovalutato “Thirst” (2009), la discreta virata hollywoodiana di “Stoker” (2013) e molto altro, Park Chan-Wook si rimette in gioco e lo fa sorprendendoci con un lesbian thriller ambientato nella Corea degli anni trenta, durante l’occupazione giapponese. In realtà, il film è la trasposizione del romanzo “Fingersmith” di Sarah Waters (che si svolgeva però nell’Inghilterra vittoriana). Cambia lo sfondo ma non la sostanza, con pochi personaggi e un luogo circoscritto dove farli muovere e interagire in maniera sempre intelligente, curando nei minimi dettagli scenografie e costumi d’epoca.
Hideko è una donna giapponese che vive isolata in una bellissima magione: accanto a lei, conosciamo una giovane e attraente ancella di nome Sook-Hee, la quale in realtà si trova lì per un altro scopo, ovvero derubare Hideko di tutti i suoi averi dopo averla sedotta. Oltre a loro, si agitano una serie di figure severe e impenetrabili, dal Conte Fujiwara allo zio Kouzuki, ognuno con il suo ruolo chiave all’interno di uno script complesso ma coinvolgente fin dai primissimi istanti. Il rapporto tra le due donne è reso in maniera eccellente sia dal punto di vista psicologico che da quello puramente sessuale, la tensione erotica è palpabile (gli sguardi parlano più di ogni altra cosa) ed esplode in alcune scene di grande impeto, come quella del dito infilato innocentemente in bocca o quella del rapporto lesbo (con tanto di 69) che rappresenta uno dei momenti clou dell’intera pellicola.
Park Chan-Wook ci racconta un pezzo di storia del suo paese, mettendo a confronto personaggi coreani e giapponesi (c’è chi è servo e chi padrone) e dipingendo attorno a loro le solite immancabili derive disfunzionali patrimonio dell’umanità tutta (tra arrivismo, egoismo e perfidia). “The Handmaiden” è stato proiettato a Cannes la scorsa primavera e ancora oggi non riesce a trovare lo spazio per imporsi come meriterebbe, frenato probabilmente da una durata eccessiva (due ore e mezza) o semplicemente da una storia poco attraente anche per il pubblico italiano più educato al cinema d’autore. Eppure Park Chan-Wook è cresciuto ulteriormente negli anni, smussando quelle spigolature che in parte minavano la bellezza di alcuni suoi film importanti, pensiamo alle eccessive ellissi presenti in “Oldboy” (2003), qui capaci di manifestarsi attraverso dei salti temporali dosati in maniera sapiente.
Questa pellicola rilancia in modo definitivo le quotazioni di un regista che troviamo a suo agio proprio all’interno della sua poetica cinematografica, smarcato da alcuni paletti di stampo americano e finalmente libero di spaziare tra (melo)dramma e thriller erotico ad alto tasso emotivo (con il sangue che compare nella parte conclusiva del film). Raffinato ed elegante come raramente capita di vedere, “The Handmaiden” dimostra di possedere le qualità per essere uno dei più significativi prodotti orientali del 2016.
(Paolo Chemnitz)
Pingback: Park Chan-Wook | l'eta' della innocenza