di Fruit Chan (Hong Kong, 1997)
“Made In Hong Kong” è un film di cruciale importanza per il cinema orientale, sia perché ha scoperto il talento di un regista eclettico e originale come Fruit Chan (suoi i successivi e meritevoli “Dumplings” e “The Midnight After”), sia perché anticipa meglio di qualunque altra pellicola il disagio e la crisi dell’ex colonia britannica durante il passaggio alla Cina, avvenuto proprio nel 1997.
Siamo al cospetto di un’opera dove il realismo è impressionante, una full immersion nelle atmosfere di una metropoli raccontata attraverso strade, sottopassaggi e palazzoni di cemento. Il personaggio principale è Moon, un ragazzo dedito a piccole attività illecite sempre accompagnato da un gruppo di amici balordi (tra cui uno con un leggero ritardo mentale, vittima costante di bullismo da parte dei suoi coetanei). Tutto ha inizio da una fanciulla che decide di togliersi la vita lasciando accanto a sé due lettere, le quali finiscono nelle mani di Moon come in un tragico passaggio di consegne in un mondo dove i giovani non hanno speranza, nonostante nel loro cuore ci sia quella purezza e quella innocenza che portano il protagonista a prendersi cura di una ragazza malata che ha urgente bisogno di un trapianto di reni.
Fruit Chan descrive con un pessimismo cosmico le vicende di questi personaggi, esseri alienati in una società permeata da un crescente nichilismo, dove la figura degli adulti è completamente negativa: la madre di Moon ad esempio, inerme e rassegnata davanti a un marito che sparisce quotidianamente per tradirla. Il regista inoltre pone l’accento su situazioni lampo come quella del pedofilo amputato a colpi di mannaia dentro un bagno pubblico da un altro ragazzino. Le scene di violenza (tra cui una cruda sparatoria nella parte conclusiva) furono una delle cause per le quali il film ebbe notevoli problemi con la distribuzione, ma ci pensarono i tanti premi ricevuti in giro per i festival internazionali a far conoscere questo titolo oggi considerato uno snodo fondamentale per il cinema di Hong Kong poco prima dell’handover del 1997.
“Made In Hong Kong” è una piccola gemma dedicata al vero malessere adolescenziale, una pellicola che rifiuta qualsiasi forma di buonismo e pietismo, perché qui c’è spazio solo per il sopruso, l’emarginazione e un destino che sembra essere uguale per tutti. Bella anche la citazione di “Natural Born Killers” (1994), di cui vediamo la locandina accanto al letto di Moon (che in casa viene spesso ripreso mentre ha le polluzioni notturne). Un film di altissimo spessore, di quelli che restano ben impressi nella mente.
(Paolo Chemnitz)