We Are The Flesh

15676114_1303930856336449_1706610117727979600_odi Emiliano Rocha Minter (Messico, 2016)

Se in questo 2016 agli sgoccioli il Messico ha celebrato “Atroz” come il film più estremo e violento mai concepito in quella terra, forse sarà il momento di ricredersi dopo aver visto “We Are The Flesh” (il titolo originale è “Tenemos La Carne”), esordio al fulmicotone per Emiliano Rocha Minter. I risultati qui però sono meno immediati, poiché più criptici ed eccentrici almeno a livello metaforico e concettuale.
Due giovani (un fratello e sua sorella) giungono in un luogo abbandonato nel quale dimora un lercio vagabondo che sopravvive barattando cibo attraverso una fessura del muro. L’uomo sta costruendo una sorta di grotta fatta di legno e cartone e chiede ai due giovani di aiutarlo offrendo loro in cambio qualcosa da mangiare e un riparo, anche perché il mondo esterno pare stia vivendo un periodo apocalittico di fame e carestia. Il compromesso prevede pure la realizzazione di alcuni rituali legati al sesso, che costringono il giovane (svogliato e contrario) ad accoppiarsi con la sorella, peraltro in apparenza concorde con le idee malsane del vagabondo.
Fin dal primo amplesso (con pompino di benvenuto) il film prende una piega pornografica, i rapporti sessuali non sono simulati e anche se l’atto non viene mai mostrato in modo completamente esplicito, assistiamo a primi piani sui genitali e a scene di masturbazione che possono urtare la sensibilità persino di chi bazzica un certo cinema di confine. Minter ci va giù pesante ma il film sembra funzionare a meraviglia solo a livello simbolico, tra sacre comunioni corporee e un valzer di colori saturi e pregni di valenze esoteriche. Un rituale di iniziazione inteso come ricetta per contrastare quel nichilismo di fondo che bisogna superare con la consapevolezza: “tu sguazzi nella tua giovinezza, ma non sei altro che carne in putrefazione” oppure “qualcosa come l’amore non esiste. Solo dimostrazioni d’amore” (nella scena disturbante del sangue mestruale) e ancora “ti uccideremo per caso. E il caso è il peggior criminale che abbia mai camminato sulla terra”.
Esteticamente l’opera è di alto livello e visivamente “We Are The Flesh” è una gioia per gli occhi, ma la domanda sorge spontanea: c’era bisogno di tutta questa porno-saccenza per raccontare una storia del genere? La risposta è no, in effetti il regista (che ha girato la pellicola a soli 26 anni) qui sembra voler cedere all’estremo a tutti i costi, per dimostrare qualcosa di cui non si sentiva assolutamente il bisogno. Una botta di narcisismo che rappresenta il punto debole del film, troppo costruito attorno all’elemento shock quando non si è ancora maturi per giocare a fare il Gaspar Noé della situazione (il regista franco-argentino è una fonte di ispirazione dichiarata, con Charles Manson dietro l’angolo). “We Are The Flesh” è comunque una visione consigliata (se non obbligatoria) per i cultori del cinema più controverso e oltraggioso, da vedere senza pregiudizi anche per riuscire ad afferrare a pieno sia i pregi che i difetti che ne fanno parte. La carne è l’anima in questa erotopocalisse alchemica.

3,5

(Paolo Chemnitz)

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