
di Mario Caiano (Italia, 1977)
All’interno del famigerato filone nazisploitation, non tutto era obbligatoriamente legato al trash o a produzioni di infimo livello. “La Svastica Nel Ventre” di Mario Caiano è una delle poche pellicole dignitose tra quelle appartenenti a questo sottogenere: l’approccio qui è meno truculento (anche se la violenza psicologica è ben presente) ma soprattutto alla base del film c’è una storia più o meno credibile con tanto di svolta melodrammatica. Dunque niente esperimenti bizzarri (per questo tipo di cose rivolgetevi al disgraziatissimo cult “La Bestia In Calore”).
Hannah è una giovane ebrea rapita dai nazisti: sua mamma è stata giustiziata davanti ai suoi occhi mentre lei viene condotta in un campo di concentramento, dove insieme ad altre donne subisce violenze e umiliazioni di ogni tipo. Notata per la sua bellezza, Hannah finisce in un bordello frequentato dagli ufficiali tedeschi, un luogo gestito da un graduato che presto si innamora di lei. Da questo momento la ragazza diventa Lola Kahr, acquisendo una nuova identità ariana, un cambiamento tuttavia destinato a sfociare nella tragedia quando la giovane rivede dopo tanto tempo il suo ex fidanzato (un uomo che non aveva mai smesso di cercarla).
Nel ruolo della protagonista troviamo la bionda Sirpa Lane, un’attrice partita a razzo con Roger Vadim (“Una Vita Bruciata”) e Walerian Borowczyk (“La Bestia”) ma poi ben presto finita a recitare in alcuni dimenticabili prodotti di basso rango, alcuni dei quali di matrice hard (Sirpa Lane morì di AIDS nel 1999).
Il cast funziona bene, come anche la regia di Caiano, un bravo e mai troppo considerato professionista del settore. “La Svastica Nel Ventre” (in America conosciuto con il titolo “Nazi Love Camp 27”) è quindi un film gradevole e mai noioso, al di là dell’infinita carrellata di nudi integrali o delle tante immagini pregne di becero sadomasochismo (soprattutto nel rapporto tra Hannah e il suo amante nazista). Caiano qua e là cerca di emulare gli intrighi romantici visti ne “Il Portiere Di Notte” (1974) o la curatissima estetica di “Salon Kitty” (1976), restando tuttavia ben distante dal risultato raggiunto dai suoi illustri colleghi. Quel che resta sul piatto è dunque un godibile ma non imprescindibile nazierotico, sta a voi decidere se dargli una chance.

(Paolo Chemnitz)
