Next Door

di Pål Sletaune (Norvegia/Svezia, 2005)

La cosiddetta trilogia dell’appartamento di Roman Polanski ha veramente lasciato il segno, non si spiegherebbe altrimenti la profonda devozione di alcuni registi verso tali opere: il norvegese Pål Sletaune è uno di questi, perché “Next Door” (“Naboer” nel titolo originale) è un film profondamente polanskiano, settantacinque minuti che volano decisamente in fretta tutti ambientati all’interno di una palazzina e dei suoi misteriosi appartamenti.
Una volta mollato dalla sua fidanzata Ingrid, John (Kristoffer Joner) rimane da solo nella sua abitazione facendo subito conoscenza delle due vicine di casa, Anne e Kim, le quali lo seducono invitandolo spesso nel loro salotto: per il protagonista (e anche per noi) diventa complicato distinguere tra realtà e fantasia, una situazione ingarbugliata che riflette i tormenti psichici dell’uomo, con rimandi più che evidenti al già citato Polanski (soprattutto “Repulsion”), ad Alfred Hitchcock (l’idolo del regista) e a David Lynch.
Pål Sletaune dirige con molta sicurezza e senza mai compiere il passo più lungo della gamba: la durata contenuta dell’opera, una messa in scena volutamente scarna e la buona recitazione dei tre principali attori ci permette di apprezzare “Next Door” nella sua cupa interezza. Un classico esempio di thriller psicologico tuttavia capace di concedersi qualche affondo abbastanza malsano e destabilizzante, come nella scena di sesso tra John e la magnetica e conturbante Kim (Julia Schacht), un amplesso completamente sui generis destinato a colpire (in tutti i sensi) i due personaggi coinvolti.
Pur derivativo nel soggetto e nello svolgimento (l’epilogo è abbastanza facile da intuire), “Next Door” rappresenta una piacevole sorpresa per quanto concerne il cinema della paranoia: la spirale di follia in cui scivola John prende quasi le stesse sembianze di quei corridoi che non sembrano voler finire, praticamente un labirinto mentale che trova la sua linfa vitale nell’ossessione e nella depravazione. In più c’è questo bizzarro elemento erotico-masochistico che altro non è che una gustosa ciliegina sulla torta, un’aggiunta capace di sopperire a un budget molto povero, i cui limiti si sarebbero notati se il film avesse voluto imboccare percorsi più prolissi e ambiziosi. Roman Polanski resta lì, irraggiungibile più che mai, ma Pål Sletaune se la cava abbastanza bene in uno dei tanti validi film-omaggio al cineasta polacco (tra cui segnaliamo anche il belga “Linkeroever” e il recente britannico “The Ones Below”). Pollice in su, senza dubbio.

(Paolo Chemnitz)

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