Chrieg

chriegdi Simon Jaquemet (Svizzera, 2014)

Una delle tematiche più gettonate all’interno del circuito cinematografico indipendente è quella legata al difficile periodo dell’adolescenza, quando ci si affaccia per la prima volta nel doloroso mondo degli adulti. L’esordio dello svizzero Simon Jaquemet è l’ennesimo coming of age che di certo non brilla nel soggetto ma che trova la sua giusta dimensione grazie a una serie di intriganti peculiarità. Un film sulla violenza giovanile intesa come forma di ribellione, di trasgressione e di consapevolezza dei propri mezzi. In questo caso una strada obbligata per scoprire se stessi.
Matteo (un convincente Benjamin Lutzke) non se la passa tanto bene: zero amici, una madre indifferente e un padre oppressivo, un quadro generale poco consolante che presto degenera in un atto sconsiderato di cui il ragazzo è costretto a pagare le conseguenze. Matteo viene punito e spedito con la forza in mezzo alle montagne, dove altri disagiati come lui stanno vivendo lo stesso percorso in beata solitudine. Se all’inizio il protagonista viene messo duramente alla prova dai suoi sadici compagni (il remissivo Matteo sembra un parente non troppo lontano dell’angelico Tore visto in “Nothing Bad Can Happen”), in seguito il giovane viene assimilato al branco, entrando a far parte della gang attraverso una serie di furti e di rapine notturne nella vicina città. Fino all’inevitabile e tutto sommato prevedibile twist finale.
Simon Jaquemet, come ha ammesso più volte, è cresciuto guardando i film di Larry Clark e Harmony Korine, tuttavia il suo spirito è attraversato da quella freddezza tipicamente mitteleuropea ben riconoscibile tra questi fotogrammi. “Chrieg” mescola così il dramma adolescenziale con quelle mirate azioni chirurgiche che esplodono all’improvviso durante la visione della pellicola: raptus impulsivi in cui volano pugni o dove si distrugge una casa senza un vero perché, un caos che non trova punti di riferimento pur focalizzandosi sulla scoperta della propria individualità (l’isolamento nella natura circostante è indicativo in tal senso, poiché traccia un confine netto tra libertà conquistata con il sudore e costrizioni all’interno di un contesto urbano e familiare). “Chrieg” è quindi una guerra contro il mondo esterno, una moderna arancia meccanica che indaga sulle origini della violenza e su come essa sia presente in ogni essere umano.
Una regia efficace e un discreto cast (composto prevalentemente da attori non professionisti) chiudono il cerchio, consegnandoci l’ennesimo prodotto di valore proveniente dalle fin troppo sottovalutate lande elvetiche (in ambito coming of age avevamo apprezzato anche il più recente “Blue My Mind”, un bel diversivo stavolta di taglio horror fantasy). Adesso invece ci mettiamo a caccia del secondo lavoro di Jaquemet, “Der Unschuldige” (2018), finito di recente sugli schermi di Locarno e Toronto, in attesa di una sua possibile consacrazione.

3,5

(Paolo Chemnitz)

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