di Lisa Brühlmann (Svizzera, 2017)
Esordio di spessore questo “Blue My Mind” per la regista (e attrice) svizzera Lisa Brühlmann, qui artefice di un coming of age finalmente originale, capace di deviare con intelligenza verso territori di matrice horror fantasy. Un’affascinante metafora per un film semplice ma efficace, letto da quello sguardo tipicamente femminile che non rinuncia mai a esplorare la contorta psicologia di una ragazza adolescente. Forse un lavoro autobiografico, chissà.
Mia (Luna Wedler) è una quindicenne che con la famiglia si è trasferita da poco a Zurigo: l’integrazione con i nuovi compagni di classe non è facile, la ragazza però è attirata dal gruppetto composto dai soliti bulli (stereotipati oltremisura ma comunque credibili), i quali presto la coinvolgono nelle loro esperienze trasgressive. Allo stesso tempo Mia inizia a subire una strana trasformazione a livello sia fisico che comportamentale, la ragazza infatti comincia a fissare i pesci del suo acquario fino a quando la ritroviamo con le mani nell’acqua e con un pesciolino appena infilato in bocca, masticato e poi prontamente vomitato. Altri indizi sempre più visibili seguono a breve, scene bizzarre e in alcuni casi disturbanti (le dita dei piedi che si uniscono, poi separate con le forbici) che testimoniano passo dopo passo il mutamento definitivo della protagonista, destinata a diventare una creatura marina (una sirena ovviamente).
Lisa Brühlmann parte dal cinema di Larry Clark per poi esplorare nuove strade: una fonte di ispirazione arriva sicuramente dalla pellicola svizzera “Amateur Teens” (2015) che condivide con “Blue My Mind” la bella attrice Zoë Pastelle Holthuizen (qui nei panni di Gianna), il cambio di rotta però è eloquente e la deriva body horror non delude affatto, compattandosi senza forzature all’interno di una storia mai sopra le righe e per questo altamente equilibrata e coinvolgente. Le immagini in cui Mia addenta con voracità i vari pesci riportano in mente persino un film come “Raw” (2015) di Julia Ducournau, dove in quel caso la drastica metamorfosi (perché anche “Raw” è un coming of age) è incarnata dal desiderio irrefrenabile di cibarsi di carne cruda. Sono quindi molte le sfumature che convergono nell’opera in esame, ognuna delle quali capace di dare un impulso particolare al lungometraggio della Brühlmann.
In quanto considerata (anche) un archetipo femminile primordiale, la sirena di “Blue My Mind” può essere recepita sotto un’ottica prettamente femminista, quasi a voler sottolineare quella forma di liberazione della donna attraverso le esperienze di vita e le sofferenze (sia mentali che corporee). L’opera comunque non deraglia mai dalle sue intenzioni principali lasciandoci decisamente soddisfatti a fine visione, questo grazie pure a una buona regia e a una fotografia volutamente virata su fredde tonalità livide. Eletto di recente come miglior lungometraggio dell’anno in patria (Swiss Film Prize), “Blue My Mind” ci regala un piacevole colpo di coda per questo 2018 ormai agli sgoccioli. Guilty pleasure.
(Paolo Chemnitz)
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
"Mi piace""Mi piace"