Carga

cargadi Bruno Gascon (Portogallo, 2018)

Bruno Gascon è un regista e sceneggiatore portoghese qui al suo esordio ufficiale dopo una gavetta fatta di televisione e di documentari a sfondo sociale. Il suo interesse nei confronti dei drammi della realtà si è riversato completamente nello script di “Carga”, un film che pone le basi per un futuro molto interessante. Quella di Gascon è un’opera da leggere in un’ottica di ampio respiro, la quale si svincola da un’appartenenza geografica ben precisa, le vicende infatti sono ambientate in un luogo sfuggente e mai nominato (le riprese sono state effettuate in Portogallo, ma vista la storia potremmo trovarci non troppo lontani dal confine russo). A supportare tale tesi c’è l’utilizzo di tre diverse lingue (inglese, russo e portoghese), oltre a un cast piuttosto variopinto (attori portoghesi, russi e polacchi). La protagonista è Viktoriya, interpretata dalla brava Michalina Olszanska, un volto che avevamo già ammirato nell’ottimo “I, Olga Hepnarová” (2016).
The collapse of the Soviet Empire in Eastern Europe in 1989 and the final disintegration of the USSR in 1991 had serious consequences. Economic systems were transformed, resulting in increased unenployment and poverty, especially for women. Many migrants spent years living in border countries, repeatedly trying and falling to cross. Viktoriya’s past had been a nightmare. Poor and unenployed, when her grandmother dies she has nothing that makes her want to stay and decides to leave in search for a better life”, la scritta in sovraimpressione è chiara, “Carga” lancia un messaggio trasversale di speranza che si può anche applicare ai recenti fenomeni migratori dall’Africa verso il nostro continente. Viktorya però non è fortunata, in quanto la vediamo subito all’interno di un camion insieme ad altre persone: alla guida c’è António, un truck driver portoghese costretto a fare uno sporco lavoro per poter mantenere la sua famiglia. Egli scarica questi disperati lasciandoli nelle mani di Viktor, un personaggio crudele che con i suoi scagnozzi traffica in esseri umani avviando molte giovani ragazze nel giro della prostituzione.
Il film entra subito nel vivo: uccisioni a freddo, stupri, neonati strappati dalle loro madri e finiti chissà dove, oltre a una serie di indicibili violenze psicologiche che non lasciano dubbi sulla denuncia messa in scena da Bruno Gascon, un regista che concede poco allo spettacolo e molto alle atmosfere (gelide, livide e realisticamente scarne come quelle umide stanze in cui sono rinchiuse le vittime). Il personaggio di Viktor (un individuo davvero spietato e spregevole) domina gli eventi, oscurando persino la figura stessa di Viktorya, di cui ascoltiamo più urla che parole. Viene invece trascurata quasi del tutto la caratterizzazione del camionista António, un elemento chiave in preda ai sensi di colpa ma incastrato dentro un sadico meccanismo dal quale è impossibile venir fuori.
Dopo una prima ora di alto livello, “Carga” purtroppo finisce per accartocciarsi su se stesso arrivando a contemplare soluzioni piuttosto forzate rispetto a quanto proposto in precedenza: questa è forse l’unica pecca evidente di un prodotto sicuramente valido che lancia un regista di cui sentiremo parlare anche in futuro. Istinto di sopravvivenza, egoismo, sopraffazione, Bruno Gascon ci sputa addosso tante controverse riflessioni, trasportandole oltre le barriere culturali e linguistiche di una sola nazione. Perché “Carga” è un film che si rivolge all’Europa intera.

3,5

(Paolo Chemnitz)

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