di Higuchinsky (Giappone, 2000)
Tra il 1998 e il 1999 Junji Itō scrive e disegna un manga destinato a colpire nel segno, “Uzumaki” (che tradotto significa spirale), un’opera che viene immediatamente trasposta sullo schermo grazie all’esordiente Akihiro Higuchi (il nickname Higuchinsky deriva dalle sue origini ucraine). Il regista segue a grandi linee la storia originaria ma realizza il film quando Junji Itō non ha ancora ultimato il suo lavoro, ecco perché i due finali non corrispondono tra loro risultando diversi. C’è subito da dire che una pellicola del genere si stacca in maniera imperiosa dalla florida corrente J-horror che stava imperversando in Giappone a cavallo tra i due secoli, alla luce di un elemento perturbante assolutamente weirdo (le spirali) ben lontano dagli oscuri fantasmi che tanto piacevano al pubblico del periodo: dopotutto Higuchinsky può contare sul manga di riferimento per variare di non poco la componente maligna del suo lungometraggio.
La giovane studentessa Kirie Goshima vive in un’anonima cittadina dove all’improvviso le persone iniziano a comportarsi in modo strano: il padre del suo vecchio amico d’infanzia Shiuchi trascorre intere giornate dietro una telecamera, riprendendo la conchiglia di una chiocciola considerata da lui stesso una forma di arte elevatissima, come tutto ciò che è spiroidale. Poco tempo dopo l’uomo, in preda alla follia, si uccide all’interno di una lavatrice (nel tentativo di trasformarsi in una spirale!). Anche a scuola Kirie osserva questo fenomeno decisamente bizzarro che si manifesta attraverso i capelli delle sue compagne di classe, ma è tutta la città a subire l’influenza nefasta delle spirali, una maledizione che si abbatte sugli abitanti ormai inermi al cospetto di un orrore inspiegabile.
“Uzumaki” è un film che si nutre continuamente di elementi weird, bisogna però lasciarsi abbandonare all’interno di questo delirio per poter assaporare al meglio le ossessioni suggerite dalle immagini dell’opera. Anche la regia di Higuchinsky predilige il grottesco (alcune inquadrature sono piuttosto strambe), alimentando ulteriori esperienze vorticose che ritornano di continuo durante questi particolarissimi novanta minuti. La fotografia, completamente virata su tonalità verdognole, ricopre di una fredda coltre una storia a dire il vero abbastanza zoppicante, fatta di lunghe attese e di fiammate improvvise che per fortuna riaccendono il nostro interesse. Il regista comunque sperimenta in lungo e in largo, ponendo questa sua creatura al di là della celebre deriva sovrannaturale tanto in voga nel cinema horror giapponese del momento: ciò si rivela un’arma a doppio taglio, non sempre capace di riuscire nel suo intento principale (“Uzumaki”, soprattutto a una prima visione, è ostico e contorto).
Sebbene le spirali, simbolicamente parlando, abbiano un significato antico e profondo connesso all’energia e alla fecondità, in “Uzumaki” si appropriano di nuove sfaccettature tanto misteriose quanto surreali, decimando la popolazione in una sorta di passaggio dalla vita alla morte. Siamo quindi al cospetto di un film originale, fantasioso e comunque complesso, diventato a suo modo un piccolo cult nel suo genere di riferimento.
(Paolo Chemnitz)
Creare un film su Uzumaki di Junji Ito è veramente un incubo. Quella storia, con elementi Lovecraftiani, è molto complessa e anche gli episodi sono bizarri e inquietanti e complessi con varie tematiche molto intelligenti. Il film l’ho apprezzato, nonostante i suoi limiti.
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