The Bad Batch

the bad batchdi Ana Lily Amirpour (Stati Uniti, 2016)

Ana Lily Amirpour, regista di origini iraniane, ha un talento visivo non indifferente. Il precedente “A Girl Walks Home Alone At Night” (2014), girato in b/n, mostrava delle ottime intuizioni nonostante una storia lasciata in secondo piano. Una sorta di western urbano dilatato e rarefatto, un’idea che viene riproposta con altre modalità nell’ultimo lavoro “The Bad Batch” (premiato dalla giuria lo scorso anno a Venezia), questa volta a colori e ambientato nell’immensità del deserto texano (il film in realtà è stato girato in California).
In un futuro distopico, i reietti della società americana (chiamati i difettosi) vengono condotti al di là di una recinzione in un territorio ostile e senza regole, nel quale convivono pericolosi cannibali e altre persone che invece cercano di ristabilire l’ordine in mezzo all’anarchia. Arlen (Suki Waterhouse) finisce subito nei guai, perché viene catturata dai cannibali che le tagliano un braccio e una gamba: riesce però a fuggire (su uno skateboard!) trovando riparo nella zona comfort, dove incontra chi può aiutarla a vendicarsi delle atrocità subite.
“The Bad Batch” è lento, minimale e ridotto all’osso anche nei dialoghi. La Amirpour (che ancora una volta scrive e dirige) resta coerente al suo stile, autocompiaciuto oltremisura (campo lungo, ralenti e quant’altro) ma capace di regalarci inquadrature di spessore che valorizzano una location sicuramente affascinante. Il film ha un piglio pop molto elevato: i colori sono accesi, la fotografia è patinata e la colonna sonora è onnipresente e invasiva (funge quasi da collante tra una scena e l’altra, uno spirito da videoclip che però non sempre garantisce il risultato auspicato). La regista guarda sicuramente a “Mad Max: Fury Road” (2015), escludendo comunque ogni deriva action e limitando persino le sequenze più cruente, purtroppo qui soltanto abbozzate (probabilmente per mantenere vivo il carattere autoriale della pellicola).
“The Bad Batch” è cinema distopico che attinge un po’ ovunque, anche dal Burning Man Festival in Nevada, quel party nel deserto che illumina le notti con installazioni artistiche e creazioni post-apocalittiche: praticamente quello che ritroviamo in alcune scene del film, dove le luci al neon ci catapultano all’interno di atmosfere mozzafiato (qui incontriamo il buon Keanu Reeves nei panni del guru The Dream). Al cast bisogna aggiungere anche un irriconoscibile Jim Carrey, presente con un cameo sicuramente curioso.
I nostri occhi ringraziano, ma a fine visione un senso di vuoto ci assale impietosamente: cosa ci hanno offerto queste due ore di pellicola? Un prodotto eccessivamente minimale, a tratti noioso, nel quale una regia di spessore da sola non basta, perché “The Bad Batch” fin dai primi istanti appare come un brodino continuamente allungato senza un’idea ben precisa alle spalle. Ana Lily Amirpour adesso deve cominciare a scrivere veramente, oltre che a dirigere.

2,5

(Paolo Chemnitz)

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