Cold Fish

cold fishdi Sion Sono (Giappone, 2010)

Se “Love Exposure” (2008) si può considerare il film più completo (e celebrato) tra quelli diretti da Sion Sono, “Cold Fish” è sicuramente quello più oscuro e malsano. Una lenta discesa all’inferno che vola via in un batter d’occhio, nonostante il minutaggio sfiori le due ore e mezza di durata. Un’opera liberamente ispirata a una storia vera avvenuta in Giappone (i Saitama dog-lovers murders), nella quale il regista riversa molte delle sue tematiche portanti, come la famiglia disfunzionale e la religione.
Il signor Shamoto ha un piccolo negozio di pesci e una situazione familiare disastrata: la figlia Mitsuko lo detesta, mentre il rapporto con la moglie Taeko è vuoto, spoglio di ogni sentimento. Il destino fa incrociare i protagonisti con un uomo molto istrionico (Murata), anch’egli proprietario di un esercizio che vende acquari e pesci di ogni tipo. Murata è viscido, insistente ma convincente, così prima offre un lavoro a Mitsuko e poi coinvolge Shamoto nei sui affari, una spirale che in realtà si rivela devastante per tutti i personaggi. Murata infatti, assecondato dalla moglie Aiko, è un serial killer sadico, perverso e psicopatico, armato di un carattere travolgente che sfiora l’onnipotenza divina: “tutti moriamo, vero? Un giorno ce ne andiamo, senza preavviso. Nessuno sa quando arriverà il giorno, è questo che dicono però alcuni lo sanno. Io sono uno di quelli! Io so quanto tempo vive un uomo e quando muore. So anche dove muore perché io faccio in modo che accada.” Parole profetiche che vengono pronunciate durante il primo omicidio, un avvelenamento secco, diretto e disturbante. Da questo momento un dimesso e timoroso Shamoto è costretto a collaborare con la coppia di assassini. Si reca con loro in una baracca/santuario in mezzo al nulla dove i coniugi Murata portano i cadaveri per smembrarli e occultarli, un luogo cupo e inquietante invaso di croci, statue religiose e ceri votivi. L’inizio di un dramma allucinante.
In “Cold Fish” non esistono alleanze, è un tutti contro tutti permeato da un nichilismo cosmico onnipresente: con il trascorrere dei minuti emerge la diffidenza reciproca, il complotto, il terrore di finire ammazzati senza possibilità di scampo, in qualunque istante e da chiunque (mogli, mariti, amanti o colleghi di lavoro). Il pessimismo di Sion Sono si traduce inoltre nella distruzione completa del concetto di famiglia, un nucleo nel quale l’unica via di fuga dal senso di colpa e dalla frustrazione è il tradimento (in questo caso Murata rappresenta l’elemento perturbante che spezza l’apatia e gli equilibri, sconvolgendo ogni tipo di gerarchia prestabilita).
La storia ci trascina giù insieme ai personaggi in un incubo senza fondo, dove nel migliore dei casi vieni fatto a pezzi e buttato in un fiume di montagna (per la gioia dei pesci, testimoni silenziosi per tutta la durata del film). Pesci anche dalle sembianze umane che si divorano a vicenda, metafora di un Giappone contemporaneo che fagocita ogni cosa, a cominciare dai più deboli. Poi c’è la religione, quel santuario che non è messo lì per caso, poiché incarna un fanatismo che si riflette nel male insito nell’essere umano, capace di massacrare il prossimo anche per futili motivi.
“Cold Fish” è un tunnel che annichilisce il nostro sguardo, un cammino segnato dalla violenza psicologica, sessuale e fisica (il sangue scorre in abbondanza), il capitolo più nero della sterminata filmografia di un regista capace di raccontare il suo paese nel modo più schietto e sincero possibile. Un film da non perdere.

5

(Paolo Chemnitz)

cold_fish

 

2 thoughts on “Cold Fish

  1. Casualmente visto durante il festival del cinema di venezia… era il solo spettacolo con ancora biglietti disponibili: fu un vero e proprio colpo di fortuna. Il film, come dici tu, è “da non perdere”. Chi lo vede senza alba del suo svolgimento, poi, ne viene letteralmente rapito perché è un “tunnel” cinematografico che lascia lo spettatore senza via di fuga! Come sempre la tua recensione è impeccabile!

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