La Femme Qui Se Poudre

di Patrick Bokanowski (Francia, 1972)

Quando parliamo di Patrick Bokanowski (Algeri, 1943), dobbiamo per forza puntare i riflettori sugli angoli più remoti del cinema sperimentale e di avanguardia. Anche se qualcuno si ricorderà del suo surreale “L’Ange” (un breve lungometraggio uscito nel 1982), spendere due parole su questo corto è praticamente basilare. In poco più di quindici minuti, “La Femme Qui Se Poudre” (“The Woman Who Powders Herself”) ci offre infatti un linguaggio estetico per l’epoca fuori dal comune, anticipando gli incubi su celluloide dei vari “Eraserhead” (1977) o “Begotten” (1990).
L’opera, accompagnata dai sinistri tappeti sonori composti da Michèle Bokanowski (la moglie del regista), è un viaggio senza ritorno nei meandri del subconscio: è qui che l’ansia si materializza, pur restando ben ancorata a una serie di concetti astratti (i contorni nebulosi, i volti inquietanti e vagamente riconoscibili). È dunque un bianco e nero ermetico quello di “La Femme Qui Se Poudre”, perché Patrick Bokanowski lascia totalmente nelle mani dello spettatore il compito di interpretare queste immagini fortemente simboliche. Una deriva psicoanalitica trasformata in una sorta di ossessione, in un caos esoterico dentro il quale ogni presenza è un enigma che si muove al di fuori del mondo reale.
Per entrare nelle viscere di questo spettrale cortometraggio, cliccate qui. Un’esperienza da provare, anche solo per comprendere il meccanismo di quelle avanguardie che nel tempo sono riuscite a ribaltare le leggi del cinema a loro piacimento, alla faccia dei dogmi e delle regole.

(Paolo Chemnitz)

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