Begotten

begodi E. Elias Merhige (Stati Uniti, 1990)

Il cinema estremo non può prescindere da un film come “Begotten”. Un’opera completamente sperimentale, priva di dialoghi, spesso considerata indigesta anche da chi è addentrato per bene all’interno del genere di riferimento. Ma possiamo parlare di horror in senso stretto? Assolutamente sì, un terrore grezzo e primigenio. Però bisogna pure rimarcare che qualsiasi etichetta tende a rivelarsi fuorviante davanti a un prodotto simile, un lungometraggio di settantadue minuti da (ri)vedere tutto d’un fiato possibilmente in età adulta (avvicinarsi a “Begotten” nel periodo post-adolescenziale, senza magari una certa preparazione mentale alle spalle, può risultare un’esperienza tutt’altro che positiva). Perché la pellicola di E. Elias Merhige non è un gioco e neppure una provocazione weird messa in piedi solo per scioccare, tutt’altro. Basti pensare che per ogni minuto del film sono servite fino a dieci ore di post-produzione (l’utilizzo di filtri qui risulta fondamentale), per un totale di circa otto mesi di lavoro.
Solitamente la trama è riassunta in questo modo: osserviamo il suicidio con un rasoio di un personaggio mascherato, dal quale emerge una donna che a sua volta masturba questo cadavere rimanendo incinta. Il parto mostra qualcosa di terrificante, una sorta di umanoide deforme che trema di continuo. In seguito, i due superstiti cercano di integrarsi in una tribù composta da uomini incappucciati, ma qui subiscono una lunga serie di brutali sevizie e violenze. Presto comprendiamo che la figura suicida che vediamo all’inizio è Dio, il quale con la sua morte genera la Natura Madre, dal cui ventre nasce il Figlio della Terra. Sono quindi gli uomini a distruggere la creazione stessa, martoriandola senza fine.
L’opera di Edmund Elias Merhige non nasce certo dal nulla: c’è un background legato al teatro sperimentale (gli impulsi primordiali derivano dall’ammirazione verso Antonin Artaud) ma c’è anche l’influenza importante del primo David Lynch, un’idea che parte fin dal 1984 per poi realizzarsi concretamente solo sei anni dopo (sette se consideriamo che il film uscì in America nel 1991). L’interpretazione ambientalista di “Begotten” è sempre stata quella più gettonata, nonostante qualcuno abbia letto tra le righe un significato alchemico-esoterico piuttosto marcato, due facce della stessa medaglia che si possono integrare senza che la prima escluda la seconda o viceversa. Curioso anche il fatto che recentemente, un regista come Darren Aronofsky, abbia in qualche modo preso alcuni spunti concettuali da “Begotten” per scrivere la sceneggiatura del suo esemplare “Mother!” (2017), una genesi biblica filtrata attraverso una blasfemia intellettuale mai fine a se stessa, in entrambi i casi. Ma le immagini disturbanti e il sonoro ossessivo del film di Merhige fanno parte di una memoria storica molto più ampia, che si proietta al di là del cinema di confine: “Begotten” infatti non ha mai smesso di lasciare un segno profondo negli ambienti artistici più oscuri di tutto il mondo (ricordiamo ad esempio l’ispirazione per la copertina dell’EP “Sounds Of Decay” degli svedesi Katatonia, come potete osservare nella foto qui sotto).

begokataPer questo e tanti altri motivi un film di tale portata necessita una seconda visione più consapevole, che possa trasportare lo spettatore oltre l’impatto straziante e immediato di questo b/n primitivo, malsano e così pregno di simboli e metafore. C’è un mondo capovolto dietro ogni fotogramma di “Begotten”, un inquietante delirio surreale che si tramuta in qualcosa di drasticamente palpabile nel messaggio mortifero che viene lanciato. Se Dio ha creato con un sacrificio, l’umanità ha distrutto con la barbarie.

5

(Paolo Chemnitz)

giphy

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