Butchers

di Adrian Langley (Canada, 2020)

Se nel 2003 un film come “Wrong Turn” risultava una sorta di copia sbiadita dei grandi capolavori horror degli anni settanta, con “Butchers” scadiamo addirittura nel derivativo del derivativo, visto che anche qui le vicende prendono vita lungo una strada isolata che attraversa un bosco, strizzando l’occhio proprio a “Wrong Turn”.
“Butchers” è la storia di quattro amici rimasti in panne con la loro automobile nel bel mezzo del nulla: due di loro decidono di allontanarsi a piedi, nella speranza di raggiungere quanto prima una pompa di benzina posta alcuni chilometri più avanti, mentre per gli altri due non resta che attendere l’arrivo di qualche soccorso direttamente sul luogo. Le cose, facile intuirlo, finiscono male per tutti.
Il regista Adrian Langley non è minimamente interessato alla psicologia dei personaggi, non a caso “Butchers” parte subito a manetta catapultandoci nella casa degli orrori dei fratelli Owen e Oswald Watson, una coppia di redneck che fortunatamente non bisogna prendere troppo sul serio (“in realtà non mangiamo le persone qui intorno, sarebbe un cliché”). Divagazioni autoironiche a parte, il film riesce persino a mantenersi su discreti livelli di tensione durante i primi quaranta minuti, quando gli eventi si svolgono principalmente all’aperto. Ma una volta finiti dentro quella putrescente baracca di legno, ricomincia il solito festival di torture assortite che a dire il vero non conduce verso alcuna direzione, se escludiamo qualche interessante scena di sadica macelleria. Troppo poco per convincere, considerando che ogni sequenza non è altro che una ripetizione pedissequa di quanto già visto in passato.
Un altro punto a sfavore è rappresentato dalla recitazione, qui veramente ai minimi termini (peccato, perché i protagonisti per una volta sembrano meno idioti di altri loro coetanei). Insomma, la stroncatura è praticamente inevitabile, anche se di “Butchers” vogliamo glorificare almeno un aspetto, ovvero quello che esclude a prescindere qualsiasi patina tipica di molti horror contemporanei: qui infatti la fotografia è scialba, le atmosfere sono lerce e tutto sembra appartenere a un cinema underground ben distante dalle attuali superproduzioni americane (non a caso “Butchers” è stato finanziato da una piccola compagnia canadese). Un film dunque molto povero di contenuti e di originalità, ma almeno dignitoso nelle intenzioni.

(Paolo Chemnitz)

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