di Rob Schmidt (Stati Uniti, 2003)
Il 2003 è un anno importante per l’american horror. Per una non voluta coincidenza, escono contemporaneamente una serie di pellicole che rilanciano la tematica della pericolosa provincia americana abitata da psicopatici e da bifolchi deformi, in pieno stile anni settanta. Marcus Nispel dirige il remake di “Non Aprite Quella Porta”, Rob Zombie fa il suo esordio con “La Casa Dei 1000 Corpi” e nel frattempo Rob Schmidt dà il via alla saga di “Wrong Turn”, ormai arrivata al quinto inutile sequel.
La produzione (con dietro il guru del make-up Stan Winston) voleva un horror di taglio vintage, con riferimenti più o meno espliciti alle storiche pellicole di Tobe Hooper e Wes Craven: il risultato è ovviamente quello che è, un prodotto derivativo nel quale gli stereotipi non si contano, nonostante una confezione più che dignitosa sia dal punto di vista registico che da quello effettistico.
In “Wrong Turn” l’assolato sud viene sostituito dai boschi della West Virginia, ma il risultato non cambia: Chris è un giovane che si sta recando a un colloquio di lavoro, per colpa di un incidente stradale però è costretto a invertire la marcia prendendo un percorso alternativo poco frequentato. Una distrazione fatale al volante è la causa di uno scontro tra la sua auto e un’altra macchina, nella quale viaggiano alcuni ragazzi in gita. Rimasti soli nel nulla e con i mezzi ormai fuori uso, i protagonisti si mettono a caccia di un telefono e finiscono proprio nel covo di tre orrendi cannibali, un luogo macabro e raccapricciante dove l’unica via di salvezza è la fuga.
In “Wrong Turn – Il Bosco Ha Fame” (il titolo italiano è più articolato) capiamo fin da subito chi muore e chi resta in vita, è facile intuirlo proprio perché nel gruppo sono presenti un paio di figure carismatiche e i soliti idioti con il destino già segnato. Fortunatamente i dialoghi sono ben dosati e non risultano patetici, così come la breve durata del film (ottanta minuti discretamente ritmati) riesce a farcelo digerire senza troppi patemi d’animo. Eppure la pellicola di Rob Schmidt è attraversata da una pochezza di contenuti disarmante, che ha davvero poco a che spartire con la critica sociale mossa da opere come “Non Aprite Quella Porta” (1974) o “Le Colline Hanno Gli Occhi” (1977).
A volte sarebbe bello tornare adolescenti, andare al cinema il sabato pomeriggio, guardare “Wrong Turn” è uscirne soddisfatti e contenti. Ma non funziona così.
(Paolo Chemnitz)
Stima. Ecco perchè ti seguo… Speravo avresti demolito questa saga
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