Divino Amor

di Gabriel Mascaro (Brasile/Uruguay, 2019)

Era il 2027. Il Brasile era cambiato. La festa più importante del paese non era più il carnevale, ma la festa dell’amore supremo”. Inizia con queste parole il nuovo film di Gabriel Mascaro, regista sudamericano da noi già apprezzato per il precedente “Neon Bull” (2015), una pellicola profondamente legata a un Brasile rurale e arretrato. Stavolta invece si guarda avanti, verso un immediato futuro ipertecnologico ma soprattutto ultrareligioso: basta farsi due conti per capire dove il regista voglia andare a parare, considerando la crescente importanza (anche politica) delle chiese evangeliche in Brasile, le quali hanno appoggiato l’attuale presidente Bolsonaro durante le elezioni del 2018. Un messaggio dunque subdolo e inquietante, dove la satira più tagliente incontra il dramma coniugale in salsa vagamente sci-fi.
Joana (Dira Paes) lavora a uno sportello pubblico, sbrigando alcune pratiche burocratiche per le coppie in procinto di divorziare: lei però, da fervente religiosa, prova spesso a far desistere questi individui, cercando addirittura di coinvolgerli negli incontri di gruppo del Divino Amor. In questa comunità ristretta (nella quale si può accedere soltanto mostrando il certificato di matrimonio) gli adepti pregano, si confrontano ma si abbandonano anche a delle orge rituali piuttosto audaci. Dietro tale apparente candore (folgorato dalle immancabili luci al neon), scopriamo lentamente la frustrazione di questa signora, desiderosa di un figlio ma impossibilitata ad averlo per via di un marito sterile.
Purtroppo per Joana, la famiglia è tutto in questo Brasile del futuro, non a caso all’entrata dei luoghi pubblici uno scanner elettronico segnala se le donne sono sposate o gravide (autenticandone il feto) oppure divorziate o nubili. Non poter procreare diventa dunque una beffa per la nostra protagonista, costretta a scendere a patti con il destino in attesa di un epilogo messianico, dove la sofferenza di Joana si fonde ancora più saldamente alla sua profonda religiosità.
“Divino Amor” rappresenta senza dubbio un bel passo in avanti per il regista brasiliano, anche solo per una tematica qui affrontata con assoluto coraggio e personalità: questa visionarietà distopico-religiosa emerge non solo attraverso la quotidianità di Joana, ma anche grazie a un gusto estetico molto ricercato, un linguaggio cinematografico di grande impatto che si somma ad alcune trovate alquanto geniali (il drive-in della preghiera, dove ci si ferma con la propria auto per confessarsi o per ricevere una benedizione, è la deriva ultima di questo Brasile dai tratti surreali). Quello di Gabriel Mascaro è dunque un film dai connotati socio-politici ben strutturati, basta solo prenderlo dalla parte giusta per entrare a fondo nei suoi perversi meccanismi. Tanto amore ma nessuna pietà per l’individuo trasgressore, a meno che non accada qualcosa di miracolosamente inspiegabile (“chi nasce senza nome, cresce senza paura”).

(Paolo Chemnitz)

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