
di Alessandro Celli (Italia, 2021)
“Nella favela nata all’ombra dell’acciaieria, i figli dell’abbandono sopravvivono senza legge. Dimenticati, nella città simbolo di un paese segnato dal degrado ambientale”. Alessandro Celli ha scelto Taranto per girare questo film e non poteva essere altrimenti: un luogo segnato e ferito dalla presenza dell’Ilva, quell’enorme complesso siderurgico inaugurato nel 1965 e da sempre al centro di mille dibattiti (se da una parte l’industria pesante rappresenta un motore fondamentale per il territorio, il lato oscuro della faccenda riguarda l’inquinamento da diossina, una piaga invisibile che ha devastato la salute della città pugliese).
“Mondocane” sposta il calendario in avanti di tanti anni, forse di qualche decennio: la fabbrica è ancora in funzione e l’aria è sempre più malsana e giallastra, però gli abitanti di Taranto sono andati a vivere in una zona molto lontana da quel complesso industriale. Lì vicino al mare e nel famigerato rione Tamburi sono infatti rimaste soltanto le macerie, una terra di nessuno nella quale imperversano delle gang criminali. Una di queste (chiamata Le Formiche) è capitanata dal carismatico Testacalda (Alessandro Borghi), un losco individuo che sembra sbucare fuori da “Bronson” (2008) di Refn. In realtà però, i veri protagonisti del film sono due ragazzini orfani (detti Mondocane e Pisciasotto), entrambi intenzionati a entrare nel sottobosco della malavita dimostrando a Testacalda tutto il loro valore.
In Italia, usciamo da un decennio decisamente saturo di pellicole crime. L’idea di tentare un nuovo approccio al genere (ovvero la contaminazione con un certo cinema sci-fi di taglio distopico) è un atto di coraggio degno di nota, anche se non possiamo considerare completamente riuscito questo tipo di esperimento. Prima di tutto, in fase pubblicitaria si è puntato fin troppo sul personaggio di Alessandro Borghi, la cui presenza di fatto è solo un contorno rispetto alle vicende dei due piccoli criminali (si potrebbe azzardare un paragone con il recente “La Paranza Dei Bambini”, spostando tuttavia l’attenzione sulla tematica dell’iniziazione e sulle atmosfere post-apocalittiche di una città qui trasfigurata in maniera assolutamente inquietante).
Al di là però delle buone intenzioni di partenza e di un’atmosfera generale decisamente credibile, è la narrazione a mostrare la corda in più di un’occasione, soprattutto durante una lunga fase centrale sfilacciata oltre il dovuto. “Mondocane” funziona perciò quasi esclusivamente da un punto di vista allegorico (la critica socio-ambientale non è affatto banale), al contrario di una storia purtroppo priva di sostanza o di passaggi significativi (le scene da ricordare sono ridotte all’osso). Se dunque da un lato il nostro cinema di genere contemporaneo ha bisogno di queste pellicole, allo stesso tempo deve essere capace di staccarsi da quel cordone ombelicale di marca crime ormai sfruttato in lungo e in largo: non a caso, anche se ci troviamo nel profondo sud, non siamo poi così lontani dalle tante pellicole post-borgatare girate nelle periferie dei giorni nostri. Certo, la malavita non muore mai, ma anche in questo futuro prossimo gli stereotipi non mancano.

(Paolo Chemnitz)
