
di Audrey Diwan (Francia, 2021)
“L’Événement” (da noi “La Scelta Di Anne”) è il film che ha trionfato all’ultima edizione del Festival di Venezia. Un successo probabilmente meritato per un’opera declinata al femminile che trae ispirazione dall’omonimo romanzo autobiografico di Annie Ernaux, uscito nel 2000 ma pubblicato in Italia solo di recente. Nonostante una storia inesorabilmente simile a quella raccontata da Cristian Mungiu nel suo angosciante capolavoro “4 Mesi, 3 Settimane, 2 Giorni” (2007), “L’Événement” è un dramma che comunque brilla di luce propria, senza guardare altrove (a parte qualche inevitabile ammiccamento al cinema dei fratelli Dardenne).
La regista Audrey Diwan punta esclusivamente sulla bellezza innocente della giovane Anne (eccellente la prova di Anamaria Vartolomei), incollando la macchina da presa sul corpo o sul candido volto della ragazza: lei è una brillante studentessa di lettere intenzionata a finire l’università quanto prima, per poi proseguire la carriera seguendo con caparbietà questo percorso. Una gravidanza indesiderata la costringe però a doversi fermare per forza, precludendole gli obiettivi futuri: dopotutto in Francia, nel 1963 (anno in cui si svolgono le vicende), l’aborto è ancora illegale e per una donna l’unica soluzione è ricorrere a quello clandestino, con la possibilità di rimetterci non solo la propria integrità fisica, ma anche la fedina penale. Anne dunque fa la sua scelta, combattendo contro la vigliaccheria di una società capace soltanto di voltare le spalle davanti a un diritto innegabile.
“L’Événement” è un lungometraggio molto sobrio e asciutto, dove non c’è spazio per alcun tipo di sentimentalismo, di spettacolarizzazione o di giudizio morale: tutto viene mostrato per quello che è, con quell’eleganza tipicamente francese di cui avvertiamo la presenza fotogramma dopo fotogramma (un tocco magico che appartiene da sempre ai nostri cugini transalpini). Il dolore però lo possiamo sfiorare con mano, soprattutto quando la protagonista finisce sotto i ferri dentro uno spoglio appartamento adibito a sala operatoria, così come nei devastanti attimi successivi. È un aborto, non è un gioco.
A conti fatti, lo studio ossessivo attorno alla magnifica caratterizzazione di Anne riesce addirittura a convincere più del film stesso, perché mai come questa volta è l’attrice principale a spaccare in due lo schermo, sia nei momenti di assiduo coraggio che in quelli in cui a prevalere è la paura o la vergogna. Anche il rapporto tra le ragazze dell’epoca e i loro amici maschietti è descritto con i toni giusti, senza forzature, come un flusso naturale incastonato all’interno di una sceneggiatura tanto semplice quanto efficace. A Venezia di certo non ha vinto un capolavoro assoluto, ma si è comunque distinto un prodotto di alto spessore, l’ennesima testimonianza di quel riscatto femminile ancora oggi segnato da tante cicatrici provenienti dal passato.

(Paolo Chemnitz)
