
di Milcho Manchevski (Macedonia/Francia/Gran Bretagna, 1994)
Arriva a sorpresa dalla Macedonia (oggi Macedonia del Nord) il film vincitore a Venezia nel 1994, una pellicola pregna di significati realizzata durante l’atroce conflitto che ha insanguinato i Balcani durante gli anni novanta. Le spinte nazionaliste dopo il crollo della Jugoslavia, le divisioni religiose, le ambizioni politiche dei vari leader, sono tanti i motivi che hanno alimentato questa terribile guerra civile: “Prima Della Pioggia” (conosciuto nel mondo come “Before The Rain”) ci mette con le spalle al muro attraverso tre segmenti interconnessi ambientati tra la Macedonia rurale e Londra, condannando queste atrocità tramite lo sguardo sconsolato di alcuni personaggi che nella loro testa vorrebbero sanare queste fratture. Umanità contro disumanità, con quest’ultima purtroppo molto più presente nell’animo delle persone.
Durante quel periodo gli albanesi e i macedoni facevano parte di due fazioni contrapposte, ecco perché qualcuno sta dando la caccia a una ragazzina albanese (accusata di omicidio) rifugiatasi all’interno di un monastero. Una fuga destinata a finire nel sangue. Nella seconda parte del film ci spostiamo a Londra, dove un fotografo macedone di successo (Aleksander) decide di mollare tutto per tornare nella sua amata patria: anche questo frammento è intriso di violenza (la strage nel ristorante), nonostante qualche deriva melodrammatica meno interessante rispetto al contesto generale della pellicola. Lo stesso fotografo lo ritroviamo nella sua terra nell’ultimo spietato segmento dell’opera, un prologo travestito da epilogo che ci proietta alle radici della storia, mettendo così in circolo una narrazione tipicamente atemporale (“time never dies, the circle is not round”). Un paradosso che riporta in mente alcune opere di Escher, come ammesso dallo stesso regista.
Se escludiamo le battute centrali ambientate a Londra (sicuramente le meno intriganti), “Prima Della Pioggia” è un lavoro dall’indiscutibile fascino ancestrale, un viaggio nella Macedonia contadina dove tutto è rimasto fermo a un’epoca remota (la magnifica colonna sonora contribuisce ad accrescere queste sensazioni). Milcho Manchevski prepara così un fertile terreno antropologico, per poi sviluppare al suo interno degli eventi privi di speranza: per Aleksander infatti non cambia nulla se un essere umano è macedone o albanese (vorrebbe rivedere una donna albanese di cui è ancora innamorato), mentre per gli altri personaggi del suo villaggio la divisione è netta e non si fanno sconti per nessuno, neppure per una ragazzina indifesa. Una spiegazione tanto semplice quanto tragica delle dinamiche che spingono gli uomini a odiarsi così profondamente, portandoli a combattere delle guerre così insensate, anche tra vicini di casa.
La provenienza così particolare di questo film ha sicuramente contribuito al successo dello stesso, perché solo da un prodotto balcanico potevamo attenderci qualcosa di così toccante sul conflitto che si stava consumando all’epoca. L’ennesima orribile testimonianza di un secolo tra i più controversi della storia, quello appena trascorso.

(Paolo Chemnitz)

Non mi piace affatto quel film, è un’idea di cinema horror sovrannaturale ben lontana dalla mia
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