
di Jonathan Auf Der Heide (Australia, 2009)
Probabilmente qualcuno di voi conosce già il significato di Van Diemen’s Land, era infatti il 1988 quando gli U2 fecero uscire un brano omonimo sul loro album “Rattle And Hum”. Il riferimento è al vecchio nome della Tasmania (un’isola a sud dell’Australia utilizzata dai britannici come colonia penale per alcuni decenni dell’800), una terra fredda e impervia che abbiamo già esplorato di recente grazie al durissimo “The Nightingale” (2018) di Jennifer Kent. Oggi invece facciamo un passo indietro, tornando al 2009 con questo discreto esordio firmato Jonathan Auf Der Heide, giovane regista nato proprio in Tasmania e dunque folgorato dalla storia vera di Alexander Pearce, un condannato irlandese riuscito a scappare più volte da questo carcere a cielo aperto.
Il film entra quasi subito nel vivo con la fuga di otto prigionieri di diversa provenienza (tre inglesi, quattro irlandesi e uno scozzese), un atto di ribellione che li conduce nel cuore di una foresta incontaminata, dove è facile perdere la bussola tra boschi impenetrabili e fiumiciattoli destinati chissà dove. Il clima è rigido e il cibo scarseggia, motivo per il quale non tardano a sopraggiungere conflitti e litigi tra i vari protagonisti. Non è difficile intuire il destino di questi latitanti senza speranze: morte e cannibalismo, nonostante la storia mantenga solo marginalmente l’ispirazione dai fatti realmente accaduti.
Guardando “Van Diemen’s Land” salta subito all’occhio l’utilizzo di una fotografia quasi completamente desaturata, una scelta che uniforma le immagini del film rendendo questi individui parte integrante di una natura malevola, capace di fagocitare ogni essere vivente al suo interno. Neppure il sole riesce a filtrare oltre la vegetazione, come se Jonathan Auf Der Heide avesse voluto rappresentare un inferno ben peggiore di quello carcerario (in questo caso traspare una certa devozione verso il cinema di Werner Herzog). Durante la parte centrale dell’opera le vicende non offrono grandi scossoni e tendono in certi casi a impantanarsi in qualche lungaggine di troppo, però il cast funziona e si riesce ad arrivare al termine di questi cento minuti senza grosse difficoltà, osservando come la disperazione diventi cattiveria e come lo spirito di gruppo possa degenerare in puro istinto di sopravvivenza.
“Van Diemen’s Land” è un prodotto in parte sottovalutato, spesso persino dimenticato: sicuramente è un film privo di lampi e di colpi di genio, ma allo stesso tempo si lascia apprezzare come il più classico dei survival movie. Se invece cercate qualcosa di più profondo e dettagliato sulle vicende di questo fuggitivo e dei suoi compagni, vi rimando a “The Last Confession Of Alexander Pearce” del 2008. La Tasmania peggio di Alcatraz.

(Paolo Chemnitz)
