Donbass

donbassdi Sergey Loznitsa (Ucraina/Germania, 2018)

Il conflitto del Donbass ha avuto inizio nel 2014, quando un gruppo di manifestanti armati si è impadronito di alcuni palazzi governativi dell’Ucraina orientale rivendicando l’indipendenza di città e regioni filorusse. Senza entrare troppo nello specifico, attualmente la Russia supporta i separatisti mentre l’Ucraina (subdolamente appoggiata dalla Nato) è in guerra con i vicini russi nel tentativo di mantenere il controllo di questi territori strategici. Le vittime, fino ad oggi, sono migliaia da ambo le parti.
Sergey Loznitsa è un regista ucraino cresciuto a suon di documentari, un acuto osservatore della realtà ex-sovietica capace di realizzare anche ottime pellicole (“My Joy” ma soprattutto “A Gentle Creature”). Con “Donbass”, Loznitsa ha ibridato la finzione con il suo background formativo, catapultandoci in questa terra di nessuno dove il terrore è all’ordine del giorno: come un reporter in prima linea, questo regista classe 1964 ci sbatte in faccia una realtà cruda e spietata, un inferno quotidiano di cui purtroppo sappiamo ancora poco. A tal proposito, per l’occasione ci limitiamo a giudicare soltanto la materia cinematografica, anche perché è lampante constatare quanto “Donbass” sia un prodotto filogovernativo che ovviamente dipinge i soldati russi come dei vermi disumani. L’onestà intellettuale passa quindi in secondo piano, che vi piaccia o no.
La pellicola è frammentata e si sviluppa attraverso una serie di situazioni che spostano la nostra attenzione da un luogo a un altro: alcune di esse sono tirate un po’ troppo per le lunghe, altre invece ci incollano allo schermo facendoci correre più di un brivido lungo la schiena. La scena del pullman fermato al posto di blocco rappresenta uno dei vertici dell’opera, con le milizie separatiste a caccia di uomini da arruolare seduta stante e un giornalista tedesco (detestato a prescindere per via dei suoi nonni nazisti) costretto ad assecondare questi soldati abbastanza esagitati.
Le immagini che mostrano un vecchio avvolto nella bandiera ucraina e messo alla gogna per strada persino da donne e da ragazzini (che lo picchiano e lo riprendono con il cellulare) incarnano un altro passaggio di grande spessore, anche perché Loznitsa sa usare bene la mdp e ce lo dimostra soprattutto nel fantastico piano sequenza conclusivo, dieci minuti raggelanti in cui la telecamera è testimone di una carneficina all’interno di un container. Si intravedono i fumi delle fabbriche, i palazzoni grigi della periferia e un odore di morte che si insinua fin sotto la pelle: davanti ai nostri occhi, un militare ha appena massacrato una dozzina di civili inermi, mentre uno sciacallo si è intrufolato sul posto per rubare i loro oggetti personali, in attesa delle sirene dei soccorsi che giungono poco dopo senza poter far nulla.
“Donbass” comunque non rinuncia a qualche curioso siparietto grottesco (la lunga sequenza del matrimonio e i suoi improbabili protagonisti), quasi a voler buttare in farsa gli eventi che si svolgono ai margini del conflitto. Accadimenti che fungono più da riempitivo che da motore narrativo, all’interno di un film dove per giunta lo script è una pura formalità, considerando la netta divisione in capitoli ognuno dei quali slegato dal successivo.
Quella del regista nato a Kiev è un’opera molto dura che consiglio soprattutto agli appassionati di geopolitica e di storia contemporanea: qui il terreno scotta ma Sergey Loznitsa dimostra di sapersi muovere con indubbia bravura in un campo non sempre praticabile, quello della guerra. Una ricostruzione drammatica e coinvolgente, soggettiva più che oggettiva, tuttavia capace di spalancare una finestra su una zona del nostro continente poco battuta dai riflettori della cronaca.

3,5

(Paolo Chemnitz)

donbass1

 

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