di Juan Piquer Simón (Spagna/Stati Uniti, 1982)
Juan Piquer Simón (1935-2011) ha dato molto alla causa del cinema exploitation spagnolo, riuscendo a bilanciare uno spirito prettamente iberico con produzioni di ampio respiro (grazie ad attori di nazionalità straniera e all’utilizzo della lingua inglese). Pellicole inizialmente di taglio fantastico (le prime sono ispirate alle opere di Jules Verne) ma successivamente ben incastonate nel loro decennio di appartenenza, pensiamo a uno slasher come “Pieces” (“Mil Gritos Tiene La Noche”) o al più succulento “Slugs” del 1988. Come suggerisce il titolo internazionale, “Pieces” assembla molti pezzi provenienti dal passato: tanto splatter americano, elementi presi in prestito dal giallo all’italiana, un chiaro svolgimento di matrice slasher e persino una citazione per “Non Aprite Quella Porta” (1974), tra affilate motoseghe e uno slogan di lancio alquanto geniale (“you don’t have to go to Texas for a chainsaw massacre!”).
Un trauma infantile dà il via alle danze, è il 1942 e un ragazzino sta ultimando un puzzle raffigurante una donna nuda. Scoperto dalla madre (che si incazza come una bestia distruggendo la stanza del figlio), il piccolo prende un’ascia massacrandola. La polizia scagiona il giovane, credendolo testimone e non colpevole dell’omicidio. Dopo quarant’anni, in un campus universitario presso Boston, una serie di uccisioni sconvolgono quella comunità: tutto ovviamente è collegato al cruento fatto di sangue accaduto tempo addietro.
In “Pieces” ci sono tutti gli ingredienti tipici dello slasher movie, soprattutto se bypassiamo una storia piuttosto prevedibile per far spazio al puro intrattenimento. Il body count, seppur non eccessivamente elevato, fa il suo sporco lavoro, considerando la valida realizzazione dei vari omicidi (Juan Piquer Simón inonda la scena del delitto con del sangue proveniente da un mattatoio, utilizzando anche organi di animali morti). Possiamo quindi affermare che tra agguati improvvisi, fantasiosi delitti (notevole quello sul materasso ad acqua) e nudi integrali, “Pieces” non si fa mancare praticamente nulla, eccetto una sceneggiatura veramente impalpabile.
Lasciando da parte una totale assenza di originalità (anche la colonna sonora della versione internazionale è completamente riciclata), questo filmetto del 1983 non è poi così malaccio. Possiamo addirittura annoverarlo tra i cult dell’epoca, almeno restando confinati all’interno del cinema horror iberico degli anni ottanta. Secchiate di splatter e la giusta dose di brutale divertimento, niente di più e niente di meno: con buona pace di chi detesta quel twist finale tanto bizzarro quanto surreale (neppure fosse “Macabro” di Lamberto Bava!), a nostro avviso la vera ciliegina sulla torta.
(Paolo Chemnitz)
Non male. Una storia che si è già vista ma che comunque riesce a intrattenere bene lo spettatore.
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