
di Robbie Banfitch (Stati Uniti, 2022)
Anche se la prolifica stagione dei found footage è ormai passata di moda, c’è sempre qualche regista intenzionato a non farla tramontare definitivamente. È il caso di Robbie Banfitch (classe 1985), il quale ha dichiarato di aver girato questo film pensando a titoli come “The Blair Witch Project” (1999), “The Tree Of Life” (2011) e “Willow Creek” (2013). Tra queste suggestioni così diverse tra loro, ciò che torna in mente è proprio il mistero della strega di Blair, spostato però nella luce accecante del deserto del Mojave.
Le prime immagini parlano chiaro: Michelle, Angela, Scott e Robbie stanno facendo una fine di merda. La loro telefonata di emergenza non è di aiuto, poiché l’operatrice del 911 riesce ad ascoltare soltanto delle urla disumane, a dir poco disturbanti. Tutto ciò avviene durante l’estate del 2017, in attesa che (cinque anni dopo) vengano ritrovate le registrazioni fatte dai protagonisti nel corso di quella terribile avventura.
Devono trascorrere trenta minuti abbondanti per far succedere qualcosa di interessante: la prima parte di “The Outwaters” è infatti noiosa, perché oltre a mostrarci questi ragazzi intenti a esplorare il deserto o a scattarsi delle fotografie, c’è poco altro da raccontare (desta comunque attenzione la componente musicale, visto che i brani presenti nel film sembrano voler anticipare il destino dei quattro malcapitati). Quando poi cala il buio, le occasioni per far decollare la pellicola ci sarebbero tutte, ma Robbie Banfitch non riesce a sfruttarle a dovere, lasciandoci in balìa di tanta confusione fine a se stessa (le riprese traballanti sono portate davvero al limite della sopportazione).
A quanto pare, negli States, qualcuno è scappato via dalla sala durante la proiezione dell’opera: se è vero che (da un lato) “The Outwaters” è capace di piazzare qua e là qualche colpo basso decisamente creepy e malsano (senza mai offrire una spiegazione allo spettatore), c’è da dire che molto probabilmente chi ha abbandonato la visione lo ha fatto per motivi non necessariamente legati al fattore horror. Parliamo di centodieci minuti fin troppo eccessivi e pretenziosi, soprattutto quando calano le tenebre e non si capisce più una beneamata mazza. C’è tanto sangue, un’accetta, una figura non meglio identificata e qualcosa di viscido che sembra strisciare attorno ai quattro, oltre a un epilogo veramente estremo che potrebbe far gola a qualche irriducibile rimasto incollato allo schermo. Sì, perché per apprezzare questo film, dovete essere dei grandi amanti del filone found footage nell’accezione più integralista ed esasperata del termine. Oggettivamente però, tutto questo caos poteva essere governato con esperienza e competenza, due prerogative che al momento non fanno parte delle skills di Robbie Banfitch.

(Paolo Chemnitz)
