
di David Robert Mitchell (Stati Uniti, 2018)
Dopo il successo di “It Follows” (2014), David Robert Mitchell riprende in mano una sceneggiatura scritta nel 2012, realizzando così il suo terzo lungometraggio, senza dubbio quello più inclassificabile e ambizioso. Delirio di onnipotenza? In parte sì, perché due ore e venti di visione sono davvero troppe rispetto alle potenzialità narrative della pellicola, senza dimenticare l’eccessiva carne messa sul fuoco, un approccio costantemente in bilico tra diversi registri cinematografici (accenni horror, virate comedy ma soprattutto un impianto da tipico neo-noir contemporaneo). Tra le altre cose, “Under The Silver Lake” ha avuto anche un discreto risalto massmediatico, sfruttando proprio la scia del suo (ormai) illustre predecessore: lo testimonia persino la partecipazione a Cannes nel 2018 tra i film in concorso (l’accoglienza fu comunque tiepida).
Andrew Garfield è Sam, un nerd simpatico e intelligente ma con zero voglia di lavorare: durante una notte, egli nota una bella vicina di nome Sarah nuotare nella piscina accanto alla sua casa, una figura tanto affascinante quanto misteriosa destinata a trasformarsi in un’ossessione quotidiana, anche perché nel giro di poche ore quella ragazza sparisce letteralmente nel nulla (“I found some kind of code or like, secret message in her apartment”). Fissato con le cospirazioni e convinto che la musica, i videogiochi e persino le riviste contengano dei messaggi subliminali, Sam intraprende un viaggio pseudo-investigativo nella Los Angeles che conta (quella delle escort e dei festini privati), incontrando personaggi bizzarri, eccentrici e ovviamente pericolosi, considerando che nei meandri di Silver Lake (quartiere a est di Hollywood) si nasconde qualcosa di losco e inaspettato.
Quella del protagonista sembra una sorta di caccia al tesoro, tra codici da decifrare, individui da seguire e situazioni al limite del surreale (Mitchell imbocca addirittura una pista lynchiana), un labirinto in apparenza affascinante ma in fin dei conti abbastanza vuoto nei contenuti, anche per quanto riguarda la flebile critica all’essenza pop di una Los Angeles in cui si punta soltanto alla carriera (niente a che vedere con la viscerale discesa nello scintillante baratro di “The Neon Demon”).
Per nostra fortuna, la caratterizzazione dello scapestrato Sam è riuscita ed è proprio lui a lanciare i segnali più confortanti all’interno di un film che a nostro avviso avrebbe meritato un montaggio più snello e accattivante. Perché, al di là degli aspetti negativi, la regia è buona e qualche passaggio funziona e appassiona (merito anche delle svariate nonché curiose citazioni, da Kurt Cobain a James Dean). Dunque, pur non essendo un’opera completamente deludente, “Under The Silver Lake” rappresenta una grande occasione mancata, proprio perché si tratta di un prodotto che galleggia su più livelli senza mai esplodere in qualche affondo deciso, finale incluso. Peccato davvero, sarebbe bastata una messa a fuoco più lucida e intensa per alzare di almeno un punto il nostro giudizio.

(Paolo Chemnitz)
