
di Agustí Villaronga (Spagna, 2000)
Qui in Italia, la notizia della scomparsa di Agustí Villaronga (1953-2023) è passata praticamente inosservata. Un peccato, considerando che abbiamo perso uno dei più coraggiosi e controversi registi spagnoli di sempre: per lui pochi titoli, ma tutti di sostanza, a cominciare dal primissimo “Tras El Cristal” (1986), pellicola indispensabile per ogni amante del cinema estremo. Una partenza folgorante a cui sono seguite altre opere importanti, come “El Niño De La Luna” (1989), “El Mar” (2000) e il più recente “Pa Negre” (2010), quest’ultimo vincitore in patria del premio Goya.
“El Mar” è un dramma straziante, neppure troppo dissimile (sotto certi aspetti) dal succitato “Tras El Cristal”. C’è un tanfo di morte e di disperazione tra questi fotogrammi, sia nel passato (il traumatico incipit ambientato durante la guerra civile spagnola) che alcuni anni dopo, quando i tre piccoli protagonisti del preambolo si ritrovano tutti in un sanatorio per malati di tubercolosi. Ramallo, Manuel e Francisca (lei si è fatta suora) ormai sono diventati adulti: i loro occhi sono stati testimoni di tante violenze e atrocità, ma pure il presente è pieno di insidie e di sofferenza. Ramallo è un ladruncolo e mette in mostra fin da subito la sua indole sovversiva, al contrario del taciturno Manuel, un ragazzo ossessionato dalla religione. Villaronga ricama lentamente l’ambiguo rapporto tra i due, fino al tragico nonché inevitabile epilogo, allargando l’orizzonte ad altri personaggi non meno turbati e infelici che vivono passivamente dentro quell’austero edificio.
Il mare suggerito dal titolo viene soltanto citato ma non lo vediamo mai, perché rappresenta quella salvezza e quel senso di libertà impossibili da raggiungere: l’ospedale diventa così una gabbia, un imbuto che riversa nell’animo dei vari protagonisti tutti i dispiaceri accumulati durante la gioventù. Il male, dunque, ha solo cambiato faccia, esattamente come era accaduto nell’allucinante parabola di “Tras El Cristal”.
Agustí Villaronga non ci nasconde nulla, colpendoci dritto allo stomaco con una serie di scene devastanti, nelle quali il sangue scorre impetuoso come un flusso inarrestabile (se non è per l’ultimo stadio della malattia, è per una violenza sessuale shock oppure per un angosciante suicidio). La memoria storica ha quindi plasmato nel profondo la quotidianità di questi giovani, compromettendone per sempre la salute mentale: ecco perché “El Mar” è un film in cui il dolore corporeo non si può scindere dal trauma interiore, quello che ha segnato a vita (come il tatuaggio di Ramallo) l’esistenza dei nostri sventurati. Crudele, feroce, viscerale, questo è un film che resta scolpito a lungo e che non dovrebbe essere dimenticato. Come il suo regista, d’altronde.

(Paolo Chemnitz)
