Non Ho Sonno

di Dario Argento (Italia, 2001)

Spesso si usa dividere la carriera di Dario Argento in due fasi ben distinte: una prima parte a dir poco monumentale (quella che comprende tutti i suoi film usciti dal 1970 al 1987) e una seconda di misteriosa nonché totale involuzione (praticamente gli ultimi trent’anni della sua carriera). “Non Ho Sonno”, a nostro avviso, rappresenta un piccolo ma significativo colpo di coda appartenente a quest’ultimo periodo, un prodotto più che dignitoso capace di emergere con facilità in mezzo alla pochezza di pellicole come “Il Fantasma Dell’Opera” (1998) e “Il Cartaio” (2003).
Argento si rifugia in una comfort zone a lui cara, dirigendo un thriller duro e puro ambientato a Torino (con più di un riferimento a “Profondo Rosso”). Per l’occasione, vengono persino arruolati i (redivivi) Goblin, qui artefici di un’ottima colonna sonora. Viste le premesse, l’originalità non è certo di casa, però la mano del regista si fa subito sentire e ci regala alcuni momenti davvero indimenticabili. Se il flashback con il ferale omicidio eseguito con il corno inglese è un passaggio che resta impresso nella mente, il piano sequenza che segue i piedi sul tappeto (nella scena del teatro) o l’incredibile e tesissimo incipit all’interno del treno (girato magnificamente) ci riportano al miglior Dario Argento di sempre, quello capace di prenderci per la gola anche solo grazie a una semplice inquadratura.
Si tratta di sprazzi di grande cinema incastonati dentro una sceneggiatura non impeccabile (buttata giù insieme a Franco Ferrini e al giallista Carlo Lucarelli), uno script purtroppo macchiato da qualche buco in eccesso (con un paio di forzature che sfiorano il ridicolo involontario). Gli aspetti negativi includono anche una fotografia diurna piuttosto scialba e la recitazione dei vari interpreti, quest’ultima affossata da una media generale impietosa (molto male Stefano Dionisi, mentre sia Gabriele Lavia che il vecchio Max Von Sydow strappano soltanto la sufficienza).
Se escludiamo queste pecche tutt’altro che perdonabili, “Non Ho Sonno” è un film comunque godibile e mai noioso, forse anche grazie ai tanti stereotipi argentiani che lo attraversano di continuo: parliamo tuttavia di autocitazioni pregne di classe e di eleganza, una serie di prerogative che all’inizio del nuovo secolo sembravano svanite per sempre tra le skills del regista romano. Pure per questo motivo, “Non Ho Sonno” suona tanto come una piccola eccezione realizzata fuori tempo massimo dal nostro Darione nazionale, ancora una volta a proprio agio in una Torino cupa e inquietante funestata dalla presenza dell’ennesimo serial killer (in questo caso la storia gira attorno ai delitti del nano, avvenuti nel 1983 ma poi ricominciati all’improvviso con il medesimo modus operandi). Abbiamo utilizzato il termine eccezione, perché “Non Ho Sonno” è un bagliore – non una luce, sia chiaro – nel buio di una recente carriera per nulla memorabile.

(Paolo Chemnitz)

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