Kisapmata

di Mike De Leon (Filippine, 1981)

Se nomi come Lav Diaz, Brillante Mendoza ed Erik Matti continuano a dare lustro al cinema filippino del nuovo millennio, non bisogna mai dimenticare quei registi che hanno fatto la storia nel corso dei 70s e oltre (tale periodo viene comunemente chiamato the second golden age, considerando che la prima età dorata di questo importante movimento risale agli anni cinquanta). Dopo aver incontrato Lino Brocka (suo il capolavoro del 1975 “Manila – Negli Artigli Della Luce”), oggi è il turno di Mike De Leon, ennesimo cineasta di una generazione all’epoca molto apprezzata nei circuiti festivalieri.
“Kisapmata” (“In The Wink Of The Eye”), proiettato fuori concorso a Cannes nel 1982, è un film magistrale: bastano una manciata di attori per mettere in scena un dramma familiare dai contorni scioccanti, una metafora più o meno evidente del duro regime a cui doveva sottostare il popolo filippino durante la dittatura di Ferdinand Marcos (la legge marziale fu revocata soltanto nel 1981). In questo caso, il despota è un padre di famiglia di nome Diosdado, un ex poliziotto sposato con una donna a lui totalmente sottomessa. Quando la figlia Mila annuncia ai genitori la sua gravidanza e il suo imminente matrimonio, l’uomo prende in mano la situazione, impedendo che la giovane possa emanciparsi andando via di casa con il futuro marito Noel.
Ambientato quasi esclusivamente all’interno di un appartamento, “Kisapmata” è un’opera che porta all’esasperazione sia i protagonisti che gli inermi spettatori: in effetti, il patriarcato all’ennesima potenza qui è servito su un piatto d’argento (“siete tutti incatenati a lui? Avete bisogno della sua approvazione per ogni cosa che fate?”), in attesa di un finale secco e crudo di assoluto annichilimento. Non bisogna poi dimenticare la tematica dell’incesto (suggerita dal regista senza inutili spettacolarizzazioni), l’ennesima sfaccettatura di un prodotto a suo modo destabilizzante.
Con “Kisapmata”, Mike De Leon apre un ciclo di pellicole di taglio sociale entrate nella storia del cinema filippino (le altre due sono “Batch’81” e “Sister Stella L.”), un tris di opere ricche di velati ma profondi riferimenti alla sfera del potere e della politica locale. Ma è proprio il film in esame a sferrare il colpo più traumatico, grazie a un realismo opprimente e disarmante raccolto all’interno di quattro mura circondate dal filo spinato: una prigione a tutti gli effetti, dove la violenza psicologica è all’ordine del giorno. Ecco perché, come giustamente sostiene qualcuno, qui siamo ai confini dell’horror.

(Paolo Chemnitz)

1 thoughts on “Kisapmata

Lascia un commento