Holy Spider

di Ali Abbasi (Danimarca/Germania/Svezia, 2022)

Di “Holy Spider” se ne parlerà molto: sì, è il nuovo film di Ali Abbasi (regista giustamente acclamato per “Border”), ma è anche una pellicola incentrata sulla triste condizione delle donne iraniane, vittime di un sistema che le pone in fondo alla scala sociale. Le manifestazioni e le proteste contro il regime avvenute durante queste ultime settimane sembrano dunque voler accompagnare le immagini di un’opera dura, violenta e inesorabilmente misogina.
Tuttavia, la storia è ambientata nel 2001, quando Ali Abbasi viveva ancora in Iran. Nella città (sacra agli sciiti) di Mashhad, un padre di famiglia di nome Saeed Hanaei divenne celebre per essere stato il responsabile dei cosiddetti spider murders, una serie di omicidi in cui morirono ben sedici prostitute. L’uomo, un semplice operaio veterano di guerra, adescava le donne per poi strangolarle, considerandole delle peccatrici da cui bisognava ripulire le strade. L’impatto mediatico di questi orribili episodi fu enorme, anche solo per il fatto che le azioni del serial killer furono giustificate da una parte della società iraniana, in quanto percepite come eroiche e in linea con i principi morali e religiosi del paese. 
“Holy Spider” è dunque ispirato a vicende realmente accadute, il cui sguardo non passa solo dagli occhi dell’assassino (Ali Abbasi non ci nasconde nulla, dopotutto pure in Iran le donne fanno sesso vendendo il loro corpo). La figura principale del film è infatti quella di Rahimi (Zar Amir-Ebrahimi è stata meritatamente premiata a Cannes), un’agguerrita giornalista arrivata in città per investigare sugli omicidi. Mentre le uccisioni continuano, la donna si confronta con l’apatia delle istituzioni (la polizia sembra brancolare nel buio) e con i soliti pregiudizi sessisti (per lei diventa quasi impossibile prenotare una stanza d’albergo, poiché sola). Questo doppio binario sul quale scorrono gli eventi non approfondisce a dovere la psicologia dei personaggi, ma diventa l’unica strada percorribile per giungere alla soluzione del caso.
Ad ogni modo, le due ore scarse di visione lasciano il segno, perché “Holy Spider” è prima di tutto un tuffo nel ventre oscuro di una città come tante altre, dove ogni cosa si può comprare con il denaro (in questo caso, il corpo femminile). Ma per la dignità e l’incolumità delle donne, la notte di Mashhad diventa sempre più pericolosa.
Ali Abbasi ha girato il film in Giordania, visto che in Iran i problemi con le autorità sarebbero stati insormontabili: in effetti, non solo la violenza misogina si attesta su livelli medio-alti (nonostante il regista non sia affatto interessato a un’accurata ricostruzione degli omicidi), ma è presente un messaggio di fondo molto forte, capace di restituire un’immagine veritiera nonché scoraggiante dell’Iran contemporaneo. Un luogo bellissimo e ricco di storia, eppure martoriato dalla repressione nei confronti della libertà.

(Paolo Chemnitz)

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